Pagina:Ojetti - Mio figlio ferroviere.djvu/171

Da Wikisource.

da verghe d’acciaio su ghiaja nuda. Tutta la terra, essi o almeno i migliori di essi vorrebbero tagliare, spianare, limitare così, regolando così, di qua e non di là, in giù e non in su, all’ora tale e non alla talaltra, il cammino e la vita d’ognuno. Quest’ordine sognano, in fondo al martirio di questo caos. E la Macchina sarebbe dio. E gli uomini macchine, ferrovieri, meccanici, tessili, tutti gli operai delle grandi officine, sarebbero i suoi sacerdoti, i più simili a lei, i più simili a Dio: gli unti del Signore, cioè della Macchina. Essi la toccano, la conoscono, la rispettano, la mansuefanno; e come già i sacerdoti delle religioni defunte curavano la produzione degl’idoli e delle immagini sacre, essi la riproducono all’infinito, cioè, di fatto, la creano. E appena l’hanno creata, ci credono e l’adorano. La dea Macchina è misurata e calcolata a millimetro. Il padre suo è il Numero. Le professioni che più si avvicineranno ai numeri, saranno in questo avvenire promesso o minacciato le professioni sovrane: ingegneri, geometri, ragionieri, agenti delle tasse: e dopo loro gl’impiegati a ore fisse, i burocrati a regolamento. La dea Macchina è indifferente al proprio lavoro. E chi anche in questo più le assomiglierà, dovrà essere di tutti i cittadini il meglio remunerato. I paria saranno coloro che s’ostineranno ad amare quello che non può essere meccanicamente riprodotto in serie; coloro che si vantano d’avere un’intelligenza diversa dall’intelligenza anche del loro padre, fratello o compagno; coloro insomma che cercano e si dilettano solo nella diversità: