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donne, che resteranno, saranno tutti diventati più buoni, più onesti, più schietti, più intelligenti, più generosi, più sobrii, chi sa, magari più sani e più belli? — Nell’inverno e nella primavera del 1915 noi in Italia si ragionava così. Certo, molti si dicevano: — Migliorare gli altri vuol dire ridurli onesti, leali ecc. come sono io. — Ma altri, forse solo i vecchi come me, si contentavano di sospirare: — Se la guerra migliorasse anche me e mi levasse la tristezza e l’incomodo di tanti malanni e difetti.... — Il fatto si è che la fede nel miracolo della guerra aveva acceso il cuore di tutti noi. C’era in quella fede qualcosa della fiducia nell’intervento chirurgico.

L’attesa era tanto intensa che le delusioni cominciarono presto; ma era anche tanto profonda, che, come è sempre avvenuto negl’inizii d’una nuova religione, tutte le delusioni venivano súbito tramutate in evidenti ragioni di nuove speranze. A ritrovare gli uomini, meno i poveri morti, tali e quali a prima, anzi più sospettosi vanitosi volubili cupidi bugiardi ingrati smemorati ed egoisti di prima, il primo anno si disse: — Pazienza. Un miracolo siffatto non può avvenire d’un colpo. — E dopo la presa di Gorizia: — Pazienza. È la novità della vittoria. — E dopo il rovescio di Caporetto: — Pazienza. È la novità della sconfitta. — E dopo Vittorio Veneto: — Pazienza. S’ha da firmare la pace. — Quando il popolo, per un improvviso amore della Russia si mise a giocare a moscacieca, taluni assicurarono: — Pazienza. La guerra porterà i suoi frutti solo quando sarà