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248 LEIDA.

lavoritipografici che essi cercano, sognano e accarezzano con tanto amore; quei libricciuoli che paiono stampati con caratteri adamantini; quei modelli di finezza e di precisione, nei quali un errore tipografico è un portento che ne duplica il pregio e il valore; quelle meraviglie di politipi, di contorni, di baffi, di fioroni, di fondi di lampada, di cui essi parlano con voce commossa, e cogli occhi luccicanti!

Uscendo da quella piazza entrai nella Breedestraat, la più grande strada di Leida, che attraversa la città da un capo all’altro in forma d’un’esse; e arrivai dinanzi al Palazzo Municipale, che è uno dei più curiosi edifizi olandesi del secolo decimosesto. A prima vista pare una decorazione da palco scenico, e contrasta spiacevolmente coll’aspetto grave della città. È un palazzo basso e lungo, color cinerino, con una facciata nuda, sull’alto della quale corre una balaustrata di pietra, e su questa s’innalzano obelischi, piramidine, frontispizii aerei ornati di statue grottesche, che formano una sorta di merlatura fantastica intorno a un tetto ripidissimo. In dirittura dell’entrata principale, s’alza un campanile composto di parecchi piani rientranti l’un nell’altro, che gli danno l’aspetto d’un altissimo chiosco, con sulla cima una enorme corona di ferro, della forma d’un pallon volante rovesciato, sormontata da un’asta. Sopra la porta, alla quale si giunge per due scale, v’è un’iscrizione olandese che rammenta la fame patita dalla città nel 1574, con cento-