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AMSTERDAM. 303

midabilicontorsioni del mostro ferito nelle acque insanguinate, le barche rovesciate dai colpi di coda, i pescatori che cascan nel mare, e vi rimangono irrigiditi, i naufraghi erranti seminudi nella nebbia e nelle tenebre, le fosse scavate nel ghiaccio e ricoperte col ghiaccio per ripararsi dalle fiere, i sonni che finiscono colla morte. Poi ancora sconfinate solitudini bianche e brumose, dove non si sente altro rumore che quello dei remi delle scialuppe ripercosso dalle caverne e i gridi lamentevoli delle foche; poi altri deserti dove non è più traccia di vita, le montagne di ghiaccio incommensurate, gl’immensi spazi ignoti, le nevi secolari, l’inverno eterno, la tristezza solenne delle notti del polo, il silenzio infinito in cui l’anima si spaura, i marinai consunti, trasfiguriti, moribondi, che s’inginocchiano sul ponte, e giungono le mani verso l’orizzonte infocato dall’aurora boreale, chiedendo a Dio di rivedere il sole e la patria. Scienziati, mercatanti, poeti, tutti s’inchinano a quelle umili avanguardie che hanno tracciato coi loro scheletri sulle nevi immaculate del polo il primo sentiero della vita.

Da questa torre, voltando a destra, e seguitando a camminare lungo il porto, si arriva alla Plantaadije, vasto quartiere composto di due isole congiunte da molti ponti, nel quale c’è un parco, un giardino zoologico, un giardino botanico, un passeggio pubblico, che formano una grande oasi verde ed allegra in mezzo alle acque livide e alle case nere. Là con-