Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) I.djvu/163

Da Wikisource.
100 ODISSEA

Poi suscitò favorevole un soffio di vento e soave;
sí che le vele Ulisse divino, allietandosi, schiuse.
E dirigeva, al timone seduto, con gran maestria,
volto lo sguardo, né mai gli piombava su gli occhi sopore,
260verso le Pleiadi, verso Boòte, che tardi tramonta,
verso le stelle de l’Orsa, cui dànno anche il nome di Carro,
che sempre fissa in un punto si gira, spiando Orïone,
e dai lavacri d’Oceano immune, solo essa, rimane:
poi che gli aveva detto Calipso, la diva Regina,
265che governasse, l’Orsa lasciando sempre a sinistra.
Per dieci e sette giorni, cosí navigò tra i marosi:
il diciottesimo, lungi, gli apparvero i monti tutti ombra,
che dalla terra Feacia sporgean, piú vicini al suo sguardo,
e somigliavano un mucchio di nubi nel cerulo ponto.
     270Ora il Signore che scuote la terra, tornando d’Etiopia,
lungi, dai Sòlimi picchi, lo vide: gli apparve dinanzi,
che navigava sul pelago; e d’ira il suo cuore s’accese;
onde, cosí, fra sé stesso, scotendo la fronte, parlava:
«Povero me, mentre lungi m’ero io fra gli Etíopi, i Numi
275altra deciser che fosse la sorte d’Ulisse divino.
E presso è giá la terra Feacia, ove il fato prescrive
ch’egli alla misera sorte che grava su lui si sottragga.
Ma tuttavia non dispero sospingerlo al fondo dei mali».
     Disse cosí, raccolse le nubi, ed il mare sconvolse,
280alto squassando il tridente; poi tutte adunò le procelle
di tutti i venti, schiuse la terra ed il pelago insieme
dentro uno stormo di nubi: dal cielo s’effuse la notte.
Euro piombò con Noto, con Zefiro infesto, con Bora,
che dal sommo ètere nasce, che rotola flutti profondi.
285Vennero meno ad Ulisse allor le ginocchia ed il cuore,