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CANTO VII 135

Quando calava il sole, dal sonno soave fui sgombro;
e di tua figlia vidi le ancelle, che sopra la spiaggia
290giocavano; e tra loro tua figlia sembrava una Dea.
Io la pregai; né essa fallí di saggezza ai dettami:
anzi piú assai ne mostrò che tu non credessi trovarne
in cosí tenera età: ché poco è dei giovani il senno.
Essa mi diede pane, mi diede purpureo vino,
295lavar mi fe’ nell’acqua del fiume, mi die’ queste vesti».
     E gli rispose Alcinoo, gli volse cosí la parola:
«Ospite, in una cosa non ha dimostrato gran senno
la figlia mia: che te condotto non ha con le ancelle,
alla mia casa, quando tu prima l’avevi pregata».
     300E gli rispose cosí l’accorto pensiero d’Ulisse:
«Eroe, non biasimare di ciò l’incolpevole figlia.
Essa m’aveva detto che io con le ancelle seguissi;
ma io non volli, avendo riguardo di te, paventando
che a quella vista tu non dovessi salire in furore:
305ché tutti quanti noi mortali collerici siamo».
     E gli rispose Alcinoo, gli volse cosí la parola:
«Ospite, no, che un cuore siffatto io non chiudo nel seno,
ch’io stoltamente m’adiri: val meglio attenersi a giustizia.
Deh!, se mai Giove padre volesse, ed Atena ed Apollo,
310che, tale essendo qual sei, pensando tu pur come io penso,
sposa tu avessi mia figlia, mio genero fossi chiamato,
e qui restassi! A te la casa ed i beni darei,
se volentieri restassi: ché contro tua voglia tenerti
niuno vorrà dei Feaci: deh!, Giove già mai non lo voglia!
315Sappi che per domani farò che s’appresti il viaggio.
Allora tu potrai giacere sopito nel sonno;
e noi sospingeremo la nave sul mare in bonaccia,