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XXIV PREFAZIONE

avvenne ad un mio amico di Catania: che oggi, tante decine di secoli dopo l’avventura di Ulisse, pastori selvaggi gli lancino contro, dalle creste inaccessibili, immani macigni. Anche oggi sembrano qui fondersi il mito derivato dal fenomeno naturale e il mito derivato dalle azioni umane.

E appunto alle falde dell’Etna la tradizione antica posteriore ad Omero (Euripide, Virgilio, Ovidio), situava l’antro del Ciclope e l’avventura d’Ulisse.

Ma è innegabile che qui non si riscontrano alcuni particolari di grande importanza. Per esempio, invano si cercherebbe nei famosi Faraglioni, sia pure nel maggiore (ne ho calcato io stesso il brevissimo suolo roccioso), la piccola isola che nell’Odissea sorge né troppo vicina né troppo lontana dalla terra dei Ciclopi, e dove sono un porto sicurissimo e bellissimo, una spelonca con una fonte, praterie umide, erbose, fittissime selve, torme infinite di capre selvagge.

E cosí Bérard ha cercato di meglio: ed ha trovato.

Noi sappiamo dalla stessa Odissea (VI, 4-5), che i Feaci vivevano anticamente in Ypereia, vicino ai Ciclopi.

Ora, se noi traduciamo in semitico, Ypereia (l’eccelsa) ci dà koum’a, e Ciclopia (cioè occhi rotondi: ops occhio, e kyklos circolo) ci dà Enotria (oin occhio, otar cingere)1. Un semita avrebbe detto dunque che i Feaci abitarono anticamente in Cuma d’Enotria.

Cosí vien sottoposto alla nostra considerazione il nome di Cuma. Rechiamoci nella regione di Cuma, saliamo sullo

  1. La piú comune etimologia che connette Enotria con oinos (vino) è falsa. A provar la giustezza dell’altra, basta il fatto che per i primi Greci italioti, Cuma fu Κύμη ἐν τοῖς Ὀπικοῖς (rad. ὀπ = vedere).