Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) I.djvu/254

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CANTO X 191

230e l’invitò. Tutti quanti le tennero incaüti dietro:
solo Euríloco fuori restò, che temea qualche inganno.
Circe, condottili dentro, su seggi e su troni li assise,
cacio per essi intrise, con miele dorato e farina,
con vin di fiamma; e filtri maligni mescé ne l’intriso,
235ché della terra nativa ricordo nei cuor’ non restasse.
Or, poi che Circe ebbe offerto, quegli altri ingoiato l’intriso,
li colpí con una verga, li rinchiuse dentro il porcile;
e già di porci avevano setole, muso, grugnito,
tutto l’aspetto: soltanto la mente era quella di prima.
240Furon cosí rinchiusi, che urlavan, piangevano; e Circe,
ghiande per cibo ad essi gittò, cornïole, lecciole,
tutte vivande dei porci, che sempre le grufano a terra.
     Solo alla rapida nave Euríloco fece ritorno,
e la notizia recò, dei compagni la sorte e l’obbrobrio;
245né, perché si sforzasse, gli uscian le parole di bocca,
tanto era grande il cordoglio che il cuor gli feriva: eran gli occhi
gonfi di pianto; né altro sapea che levare lamenti.
Ma, come noi, stupefatti, l’incalzavam di domande,
pure, alla fine, ci disse la sorte degli altri compagni.
250«Come ingiungesti, Ulisse, movemmo cosí per la macchia,
e in una valle vedemmo levarsi una bella dimora.
Qui sedeva una al telaio, cantava con limpida voce,
femmina o diva, non so. Le diêro una voce i compagni.
Quella súbito aprí le fulgide porte, uscí fuori,
255e li chiamò: tutti quanti le tennero, incäuti, dietro.
Io solamente restai, temendo che frode ci fosse.
Tutti li vidi insieme sparire. Ed a lungo rimasi,
fuori, a far guardia; ma piú nessuno di loro uscí fuori».
     Disse. Io la spada mia grande di bronzo, dai chiovi d’argento,