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192 ODISSEA

260presi, e le frecce, e l’arco, me li gittai su le spalle,
e gli ordinai di guidarmi per quella medesima via.
Egli però mi strinse con ambe le mani i ginocchi,
e, lagrimando, queste mi volse veloci parole:
«Contro mia voglia lì non condurmi! Qui lasciami, Ulisse!
265Ché neppur tu, lo so bene, potrai ritornare, né alcuno
ricondurrai dei compagni. No, presto fuggiamo con questi:
forse potremo ancora schivar l’ora nostra fatale».
     Cosí disse. Ma io con queste parole risposi:
«Se tu lo brami, dunque, Euríloco, resta sul lido,
270presso la nave nera, che c’è da mangiare e da bere.
Io però devo andare. Dovere è per me, che mi spinge».
Detto cosí, mi staccai dalla nave, dal lido del mare.
Ma, quando presso ero giunto, movendo pei sacri burroni,
alla magione grande di Circe maestra di filtri,
275mentre vi stavo entrando, si fece a me contro il signore
dell’aurea verga, Ermète, che simile in tutto pareva
a giovinetto che imbruna la guancia, negli anni piú cari.
Egli mi prese per mano, volgendomi queste parole:
«Misero, e dove vai, solo solo, per queste colline,
280che non conosci il paese? Son lí, nella casa di Circe,
i tuoi compagni, chiusi nel fondo di saldi porcili:
son diventati ciacchi. Tu qui vieni forse a salvarli?
Non tornerai neppur tu, resterai, te lo dico, con gli altri,
Io però dai malanni ti voglio sottrarre, e salvarti.
285Entra pur nella casa di Circe; ma prima quest’erba
prendi, che l’ora fatale terrà dal tuo capo lontana.
E tutti quanti ascolta di Circe i disegni ferali.
Essa ti preparerà, mescendovi un filtro, un intriso;
ma senza effetto sarà l’incanto: ché a sperderlo vale