Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/79

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76 ODISSEA

380Or preveniamolo; e mentre lontano è nei campi, o s’avvia
vêr la città, s’uccida. Pigliamoci allora i suoi beni,
le sue sostanze, e fra noi dividiamole; e diamo la casa
alla règina, e a chi la sposa, ché n’abbia possesso.
Se poi queste parole vi spiacciono, e invece bramate
385ch’ei viver debba, e tutta goder la sostanza paterna,
non si rimanga piú qui tutti raccolti, a mangiargli
i beni suoi, per quanto gustosi; ma ognuno, recando
doni da casa sua, richieda le nozze; e la donna
scelga chi piú le piaccia, chi vuole che scelga il Destino».
     390Disse. E tranquilli tutti rimasero gli altri in silenzio.
Ed a parlare prese Anfínomo, il fulgido figlio
di Niso, il re che nacque d’Arète. Venuto era questi
da Dúlico, feconda di biade, di pascoli altrice,
e capo era dei Proci, gradito a Penelope molto
395pei suoi discorsi; e un cuore gentile battea nel suo petto.
Costui, pensando al bene di tutti, cosí prese a dire:
«Insidïar non vorrei di Telemaco, o amici, la vita.
È, porre a morte il figlio di un re, troppo orrendo misfatto.
Ma si consulti prima di tutto il volere dei Numi.
400E se ci approveranno di Giove supremo i responsi,
io stesso l’ucciderò, spingerò, che l’uccidano, tutti;
ma se distolgono i Numi da questo, a desister v’esorto».
     Questo Anfinomo disse: restarono gli altri convinti;
e quindi, surti in piè, rïentrâr nella casa d’Ulisse;
405e, nella sala giunti, sedetter sui lucidi troni.
E un’altra idea qui volse la scaltra Penelope in mente:
di comparire ai Proci superbi arroganti dinanzi:
ch’ella saputa aveva l’insidia di morte tramata
contro suo figlio: udita l’avea dall’araldo Medone,