Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/80

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CANTO XVI 77

410che risaputa l’aveva. Discese dunque essa alla sala,
con le sue donne; e quando fu giunta fra i Proci, la donna
presso allo stipite stette del solido eccelso soffitto,
teso dinanzi alle guance tenendo lo splendido velo;
e la rampogna scagliò contro Antinoo, con queste parole:
415«Macchinatore di mali, Antinoo superbo, si dice
che fra la gente itacese, fra i pari d’età, tu soverchi
tutti di senno e parole; ma tale di fatto non sei.
Perché, predone, contro Telemaco trami la morte,
trami la fine, e pietà non hai dei supplici, e Giove
420pur li tutela? Empia cosa malanni tramar l’uno all’altro!
Piú non rammenti quando tuo padre qui venne fuggiasco,
per isfuggire all’ira del popolo? Ch’erano in furia
contro di lui, perché, mosso insieme ai pirati di Tafo,
danni ai Tesproti aveva recati, che ci erano amici.
425Or lo volevano morto, volevano il cuore dal petto
strappargli, e i beni poi mangiargli, ché molti ei n’aveva.
Ma Ulisse li frenò, li distolse, per quanto bramosi.
Per questo ora gli macchi, gli mangi la casa, gli vuoi
prender la donna, e al figlio dar morte, e me colmi di cruccio.
430Ora io t’impongo che tu la smetta; e tu imponilo agli altri».
     E questo allora, il figlio di Pòlibo, Eurímaco, disse:
«D’Icaro figlia, scaltra Penelope, sii pur tranquilla:
questi timori a te non debbon la mente ingombrare.
Uomo non è, né mai sarà, né vedrà mai la luce,
435che sovra il figlio tuo Telemaco levi la mano,
almeno fin ch’io viva, ch’io veda la luce del sole:
perché questo ti dico che presto vedresti compiuto:
scorrere il sangue suo vermiglio ben presto dovrebbe
su la mia lancia: ché troppo sovente mi fece sedere