Pagina:Omero minore.djvu/115

Da Wikisource.
112 INNI OMERICI 163-191

In casa nostra, un bimbo s’alleva, che nato è da poco,
l’ultimo nato, a lungo bramato, l’amore di tutti.
Ora, se tu l’allevassi, quando ei fosse pubere fatto,
invidiarti dovrebbe qual sia delle donne mortali
che ti mirasse: tanti ne avresti magnifici doni».
     Disse cosí. Consentí col capo la Diva, e le brocche
lucide empiute d’acqua, partiron le vergini liete.
Alla gran casa presto pervenner del padre; e alla madre
dissero tutto quello che avevano udito e veduto.
Disse la madre che andassero presto, chiamasser la vecchia,
promessa a lei di larga mercede facessero. E quelle,
come cerbiatti o vitelle saltellan sui morbidi prati
a primavera, poiché di pascolo sono satolli:
cosí quelle, reggendo le pieghe dei nitidi pepli,
per l’incassata carraia tornaron di corsa: le chiome
svolavan su le spalle, parevano fiori di croco.
All’orlo della strada la Diva trovarono, dove
l’avean lasciata; verso la casa l’addusser del padre;
e dietro a le fanciulle, la Diva, col cuore in angoscia,
moveva: era il suo capo coperto dal velo: l’azzurro
peplo ondeggiava intorno ai morbidi pie’ della Diva.

     Ben presto di Celèo, signore nutrito dai Numi,
furono giunte alla casa, nel portico entrarono, dove
sedea, presso il pilastro del solido tetto, la madre
che il pargoletto, nuovo rampollo, stringeva al suo seno.
Corsero presso a lei le figlie: la Diva il suo piede
sopra la soglia mise: la testa toccò l’architrave,
la porta piena fu tutta quanta d’un raggio divino.
E reverenza, allora, vergogna, pallore, sgomento