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189-217 AD ERMETE 69

quattro, come uomini, intesi concordi alla guardia. Ora, i cani,
sono rimasti, e il toro: davvero è un prodigio; e le vacche
via se ne sono andate, dal pascolo dolce, dal prato
morbido, quando il sole da poco era sceso nel mare.
Annoso vecchio, questo dimmi ora, se alcuno hai veduto
che dietro queste vacche battesse veloce la strada».
     E a lui rispose il vecchio, cosí la parola gli volse:
«Ardua cosa, amico, ridire per filo e per segno
quello che vedono gli occhi: ché passano assai viandanti,
e covan questi molti malvagi propositi, e quelli
buoni: difficile assai saper come ognuno la pensi.
Io, per me, tutto il giorno, dall’alba al tramonto del sole,
sono rimasto a sarchiare d’intorno alla vigna. E un fanciullo
veder mi parve, amico — però non son certo — e giovenche
movevano con lui cornígere: un pargolo; e aveva
un pungolo; ed il suo camminare era un andirivieni».
     Ciò disse il vecchio; e il Nume di nuovo riprese il cammino,
tosto; ché furon per lui quei detti volante presagio,
e súbito capí che il ladro era il figlio di Giove.

     E si lanciò veloce Apolline figlio di Giove
verso la sacra Pilo, cercando le tarde giovenche,
nascosto entro una nube purpurëa gli omeri vasti.
E l’orme vide, il Nume che lungi saetta, e proruppe:
«Ahimè, quale prodigio vedere non debbon questi occhi!
L’orme son certo queste dei buoi dalle corna diritte,
ma capovolte sono, s’avviano al prato asfodelo!
Né d’uomo sono, queste vestigia, non sono di donna,
né pur di grigi lupi, non son di leoni né d’orse,
né di villoso centauro mi sembra che siano, che possa