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307-335 AD ERMETE 73

Ermète degli armenti custode, e il figliuol di Latona,
d’animo ben diverso: ché l’uno, veridico sempre,
avea ghermito Ermète pei buoi trafugati, a buon dritto;
e con le frodi l’altro, coi suoi capziosi discorsi
trarre voleva il Dio dall’arco d’argento in inganno:
poiché lo scaltro, dunque, trovato ebbe un altro più furbo,
rapido s’avviò Ermète pel lido sabbioso,
egli davanti, e il figlio di Giove e Latona a lui dietro.

E giunti furon presto d’Olimpo alle cime fragranti,
dinanzi al padre loro Croníde, i figliuoli di Giove:
ché per pesare le loro ragioni, era qui la bilancia.
Sereno era l’Olimpo, coperto di neve; e i Celesti
per le convalli d’Olimpo sedevano, tutti raccolti.
Stettero Ermète ed Apollo, signore dall'arco d'argento,
dinanzi alle ginocchia di Giove; e il Signore del tuono
al figlio suo fulgente rivolse cosí la parola:
«O Febo, e d’onde mai sospingi quest'ardüa preda:
un bimbo appena nato, che sembra, all'aspetto, un araldo?
È grave questo affare che giunge al cospetto dei Numi!»
     E il Nume a lui, che avventa lontano le frecce, rispose:
«Padre, che me proverbi perché sono vago di prede,
solo io fra tutti, udrai fra poco una storia bizzarra.
Dopo che a furia molti paesi varcai, questo bimbo
matricolato furfante trovai sopra l’alpe cillenia,
ingannatore come niun altro mai vidi fra i Numi,
né fra i mortali, quanti son bindoli sopra la terra.
Perché rubò le mie giovenche dal pascolo, e a vespro
lungo la spiaggia del mare dall’alto frastuono le spinse,
le addusse verso Pilo. Ed erano immani le impronte,