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74 INNI OMERICI 336-365

e tali da stupirne, da dirle prodigio d’un Nume:
però che Torme tutte mostrava la polvere negra
delle giovenche, rivolte, retrograde, al prato asfodelo.
Ed egli poi, da sé, questo bambolo invalido, andava,
non sulle mani, e neanche sui pie’, pel terreno sabbioso;
ma con un altro strano congegno batteva la via,
come se avesse, invece di piedi, tronconi di quercia.
Ora, finché li spinse traverso il terreno sabbioso,
erano impresse qui, tutte quante visibili, l'orme;
ma quando il tratto grande d’arena fu poi superato,
sparvero le vestigia dei bovi sul duro terreno,
sparver le sue vestigia. Ma un uomo lo scorse, un mortale,
mentre spingeva a Pilo le vacche dall’alta cervice.
E poscia, quando l’ebbe rinchiuse a suo comodo, e il fuoco
ebbe a sua posta qua e là sparpagliato per tutta la strada,
in una culla a giacere si mise, e sembrava una notte,
entro un ombrosa spelonca, nel lato più buio: neppure
l’aquila, acuto sguardo, scoperto l’avrebbe; e sovente
le mani sopra gli occhi stendeva, tramando l’inganno.
E mi rispose, senza scomporsi, con queste parole:
«Non vidi, io, non so nulla, neppur n’ho sentito parlare,
dar non ti posso indizio, buscare non posso la mancia».
     Dunque, cosí parlò Febo Apollo, e si mise a sedere.
E fece Ermète un altro discorso ai Beati, ed un cenno
pria di saluto al Cromde, signore di tutto, rivolse:
«Tutta la verità, Giove padre, ti voglio narrare:
ché io dire menzogna non posso, e veridico sono.
A casa nostra giunse costui, le giovenche cercando
dai lenti pie’, quest’oggi, che il sole da poco era sorto:
né seco alcun dei Numi recò testimone oculare.