e passeggiava qua e là, toccando la cétera acuta.
A lui dinanzi stette la figlia di Giove, Afrodite,
che di statura, di forme, sembrava una vergine intatta,
perché non rimanesse sgomento, vedendola, Anchise.
E come vista l’ebbe, rimase a mirare, stupito,
l’aspetto suo, la sua statura, le fulgide vesti:
ché un peplo ella cingeva più ardente che raggio di fuoco,
e búccole portava fulgenti, e volubili armille,
e s'avvolgean monili bellissimi al morbido collo,
d’oro, di varii colori brillanti: sul tenero seno,
miracolo a vedere, parea che fulgesse la luna.
E preso Anchise fu d’amore, ed a lei si rivolse:
«Salve, o Signora, chiunque tu sii delle Dee che qui giungi,
Artemide, Latona, l’amica dell’oro Afrodite,
o Tèmide bennata, o Atena dal cerulo sguardo;
oppur, se alcuna tu delle Cariti sei, che qui giunge,
che sempre son compagne dei Numi, e son dette immortali,
o delle Ninfe alcuna che vivon pei floridi boschi,
o delle Ninfe che dimorano in questa bell’alpe,
per le sorgenti dei fiumi, fra l’erbe di fonti perenni.
Io sopra un'alta vetta, visibile a tutti gli sguardi,
un'ara leverò, farò sacre offerte, a onorarti,
nelle stagioni tutte: tu poi, con benevoli cure,
fa’ ch'io divenga un uomo distinto fra tutti i Troiani,
fa’ che una florida stirpe succedermi possa; ed io stesso,
fa tu che a lungo veda la luce del sole, e, beato
fra le mie genti, possa toccar di vecchiezza la soglia».
E a lui cosí rispose la figlia di Giove, Afrodite:
«Anchise, o il più famoso fra gli uomini nati a morire,
no, che non sono una Diva: perché mi assomigli alle Dive?