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Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/108

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del chiabrera 95



Felice l’Uom, che giù nel cor non chiude
     Voce, ch’irata i suoi desir condanni:
     Ma forte amico all’immortal virtude,
     Qual morso di leon, fugge gli affanni.
25Quei sulla terra è fortunato appieno,
     Che d’ora in or può dir: Vissi giocondo;
     Diman con la bell’Alba esca sereno
     Dall’onde il Sole, o nubiloso al mondo.

XIV

AL SIGNOR GIOVANNI CIAMPOLI

Castigarsi da Dio i secoli malvagi.

Gonfiansi trombe, ed a provarsi in guerra
     Marte danneggiator terge l’acciaro;
     Ferri innocenti, che le piagge araro,
     Volgonsi in brandi a funestar la terra.
25Altro che voti ognor non fan le spose
     Sopra lo scampo de’ consorti amati,
     Disperse i biondi crin, manti dorati,
     E sgombrano dal cor danze amorose.
Scettrato re sull’odorate tele
     30Non trova sonno; i suoi pensier travaglia
     Or periglio d’assedio, or di battaglia,
     E di popoli teme alte querele.
Lasso! qual forza di crudel ventura
     Fa de la bella Italia aspro governo?
     35Onde cotanto orror? Qual nembo inferno
     Di sua chiara sembianza i raggi oscura?
Sono forse nel cielo astri nemici,
     Che amino in pianto i nostri cor sommersi?
     Non son, Ciampoli, no pianeti avversi,
     40Son del sommo Rettor giusti giudíci.
Tarda vendetta di dovuto esempio
     Su nostre colpe. Ove teneasi a segno
     Lussuria? Ed ove non ardea disdegno?
     Qual non si fea di poverelli scempio?
45Rapina in colmo, vilipesa Astrea,
     Fede in obblio, Religïon schernita,
     Giuoco, Bacco, vivande; a cotal vita,
     Dimmi, qua mercèĄ dar si dovea?
Ben nell’alto del Ciel sembra talora
     50Posarsi in sonno l’immortal possanza;
     Ma se quaggiù malvagità s’avanza,
     Al fin sua spada i peccator divora.
Ecco oggimai tonar fulmini orrendi,
     Ecco giorni di duol, giorni di pene;
     55Miserabili noi, se già non viene,
     Che nostri falli il Grande Urbano emendi?

XV

AL SIG. FRANCESCO CINI

Loda la vita solitaria della Villa.

Là dove caro April più vago infiora
     Delle belle Napee l’aurate chiome,
     Cini, tra bei pensier bella dimora
     Fai tra le rose, onde ha tuo colle il nome:
5E quando l’Alba il fosco mondo aggiorna,
     Augei lagnarsi, e mormorar ruscelli,
     E quando con la notte Espero torna,
     Pur senti a tuo piacer fonti ed augelli.
Spesso su i prati, ove è più vivo il verde,
     10O dove il Sol fresca selvetta asconde,
     Sciogli tua voce, e su quel punto perde
     E degli augelli, e l’armonia dell’onde.
Saggio, che a ben goder l’ore presenti,
     Non vuoi, che speme, o che desio t’inganni;
     15Ma nel secolo reo d’aspri tormenti
     Sai la pace trovar di quei primi anni.
Arte sì bella in van, Cini, s’apprende
     Per l’onde irate dal nocchiero avaro,
     Quando con Austro ed Aquilon contende,
     20E vil tesor più che la vita ha caro.
Ma forse fia, che in van requie non speri
     Uom d’un bel volto, e di due ciglia amante?
     O condannato ne’ palagi alteri
     A prender forma di real sembiante?
25Ah giù di Tizio nella piaggia oscura,
     Sovra il petto immortal lievi avoltori,
     E sotto l’unghia inesorabil dura
     Del vinto Prometeo strazi minori!
Requie colà dove le frodi han regno?
     30Dove è mai sempre odio mortale acceso?
     Dove ora invidia, ora crudel disdegno
     Terribil arco acerbamente han teso?
Lunge, lunge da noi manti pomposi,
     Marmorei alberghi, e ricche mense aurate;
     35Ma sian nostro desir poggi selvosi,
     Verdi erbe, limpid’acque, aure odorate.

XVI

AL PRINCIPE D. CARLO MEDICI
CARDINALE

L’Immortalità del nome venire per la Virtù.

Qual’alma in terra non avrà pensiero,
     Che un tempo Codro, regnator d’Atene,
     Palagi ergesse? E che d’argento altiero
     Mense carcasse nelle regie cene?
5Ei ben seppe versar fra logge, e marmi
     Onda, di bella Najade tesoro,
     E, fiero giuoco, con latrati, ed armi
     Sgomentar belve, e le spelonche loro.
Ma preda dell’obblio giacquer negletti
     10Si fatti studj, e dentro nebbia oscura
     Non san vedere il Sol; scherzi e diletti
     Cetra di Febo celebrar non cura.
Nel fondo vil della Letea palude
     Fora sepolto nome ognor si chiaro,
     15Se con nobile prova alta virtude
     Alla fama immortal nol facea chiaro.
Ignoto ei corse de’ nemici il campo
     Pur della Patria alla difesa intento:
     Quinci con quella morte a lei die scampo,
     20Che a lui dare il nemico avea spavento.
Allora Euterpe il sollevò sull’ali
     Verso l’Olimpo, e glie n’aperse il varco,
     E l’aspra invidia abbandonò gli strali,
     Ed allentò l’iniqua corda all’arco.
25Così vero valor chiude le porte
     A’ mostri odiosi della valle inferna,
     E l’empia falce rintuzzando a morte,
     L’altrui memoria in sulle stelle eterna.