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del chiabrera | 169 |
XXVIII
Ch’io scherzando contrasti al duol profondo,
Io nol nascondo.
Perchè nudrir tormento?
50Diman sarà com’jeri:
Beviamo, e diansi al vento
I torbidi pensieri.
Udite, udite amici: un cor giocondo
È re del mondo.
XXIX
Per soverchio d’età sento agghiacciarmi,
E tutto l’anno intero un verno parmi.
Sole di due begli occhi io prendo a scherno.
Non si vanti con me viso leggiadro:
5Commetto al buon Dionigi il mio governo,
E grido: Togli, Amor, che a te le squadro.
Passata è la stagion, perdute hai l’armi.
XXX
Degli uccellin pigliati alla ragnaja,
O Clori, e de’ popon, ma di legnaja,
Una matura pera,
Non senza Marzolino,
5Fa, che io ritrovi a sera
Nel mezzo del giardino.
Ma se colà non porti ottimo vino,
Fia Col cembalo gire in colombaja.
XXXI
Recati l’arco in man, cara Foloe,
E percoti la lira,
Cui Pausilippo ammira:
E to vibra le dita
5Sulla cetra fornita
Di sette lingue d’ôr, bella Alcatoe.
E se prendi a spirar musico fiato,
Che del flauto Alemanno esca da’ fori,
Gisgone, oggi non è capo scettrato,
10Che abbia de’ giorni miei giorni migliori.
Tu, fiorito Giacinto, orna di fiori
Quella Tedesca coppa.
Ond’io l’arsiccia bocca
Adacqui di buon vino,
15E sposo lo destino
Alla figlia gentil di Leuconoe.
XXXII
Corri alla grotta, o Clori,
Trova la manna di Savona, e spilla,
Poi colma l’orlo de’ maggior bicchieri.
Tutta la fronte mia sudor distilla;
5Che mal prenda i levrieri,
Da che la bella Aurora in cielo apparse.
Finora i passi miei non fûr mai fermi,
Che delle fere le vestigia sparse
Cercai per poggi solitarj ed ermi.
10O forsennati cori,
Errar dal porto infra Cariddi e Scilla,
Vadan gli Adoni della caccia altieri:
A Bacco, che ci dà vita tranquilla,
Son servi i miei pensieri.
XXXIII
Deh follemente desïati argenti,
E Potosi miniera!
Corra colà chi con ricchezza spera
Ammorzare i tormenti.
5Sì lontani conforti io non conosco;
Conosco di buon vin buone inguistare:
D’april m’infioro; e se il Centauro appare
Nell’aspro ciel, dono alle fiamme il bosco.
Morte passeggia le città possenti
10Non punto men che un’aja,
E co’ superbi re sua falce appaja
Il villan guidarmenti.
XXXIV
Certo non è vin Greco
Non Asprin, non Scalea,
Non Toscana Verdea,
Che titolo d’onor non aggia seco.
5Tesor di Bacco puossi dire Albano:
Ne della Riccia la vendemmia è vile;
Ma dove sieda un bevitor gentile,
Veggo in aringo coronar Bracciano.
Se alcun giudice strano
10Divulga altra sentenza,
Fugga la mia presenza.
Che immantenente azzufferassi meco.
XXXV
Scherzò lui, che dicea,
Come di Pindo il monte
S’ornava per un fonte,
Che di freddissim’acqua indi correa.
5Non era quel ruscello onda mortale,
Certo non era, era d’ambrosia fiume,
E néttare divino;
E néttare ed ambrosia altro non vale
In buon volgar, salvo che Etereo lume
10Di lampeggiante vino.
Mal si cantava Enea,
E di Achille il furore.
S’io qui prendessi errore,
Spilla dunque tre botti, o bella Eubea.
XXXVI
Chi fu de’ contadini il sì indiscreto,
Che a sbigottir la gente
Diede nome dolente
Al vin, che sovra ogni altro il cor fa lieto?
5Lagrima dunque appellerassi un riso,
Parto di nobilissima vendemmia?
Lo sciocchissimo Autor della bestemmia
Non mai per lui si rassereni in viso.
Ma sempre lagrimando aggia divieto
10Di gire ov’ei si pigi;
E faccia il buon Dionigi
Per sua sete acerbissimo decreto.