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170 poesie

XXXVII

Donne, vi sembra strano,
     Che fosco, che barbuto,
     Io non divegna muto
     A favellar d’amore,
     5Quasi un vago amatore
     Solo non ami invano.
Sciocche donzelle, udite,
     Udite, che il mio dir non è per giuoco:
     Nettuno il chiomazzurro empie di foco
     10Il bel cor d’Anfitrite.
Chiaro vi parlo, e piano,
     Nulla son barba e crini;
     Ma tu de’ miglior vini
     Cerca, Florin, l’insegna:
     15Se chiedi oggi chi regna,
     Regna Montepulciano.

XXXVIII

A che stancarsi all’Oceáno in seno?
     Vaghezza d’arricchir non vien mai meno.
     In nappo cristallino, in coppa d’oro
     De’ tesori di Bacco oggi arricchito,
     5E pura neve di gelato lito
     Con soave di rose odore infioro.
Solchi avaro nocchier l’ampio Tirreno:
     Fassi anco al poverello il ciel sereno.

XXXIX

Che non prezza altro mestiere, che quello del bevere.

Nobile cavalier, vago d’alloro,
     Mette in resta la lancia, e vuol provarsi
     In sul campo Germano:
     D’altra parte coloro,
     5Che amano senza piaga incoronarsi,
     Cercano toga sotto il ciel Romano.
Nocchier, che d’arricchirsi arde e sfavilla,
     Nel mar d’Atlante volentier s’ingolfa:
     Io sprono a tutta briglia in vér la Tolfa,
     10Là dove Bassareo mauna distilla.
O stolti, il tanto faticar che giova?
     Fumo e la gloria, ed a natura basta
     Assai poco tesoro:
     In se l’uomo ritrova
     15Il suo ben, se per sè nol si contrasta;
     Che son nostri desir nostro martoro.

XL

Che non gode dell’acque.

Non così chiari Alfeo
     Porta al mar suoi tesori,
     E men si chiari quel che i primi allori
     Vide fiorir Peneo.
5Questo puro ruscel rivolge argento,
     E per lo fresco delle verdi sponde
     I lassi peregrin chiama a posarsi:
     Ei sè rincrespa al trasvolar del vento,
     E di bei faggi ben tessute fronde
     10Il tolgono di Febo a’ raggi sparsi:
Bel sia, ma per mirarsi,
     E non già per mia sete:
     Najadi, il pur dirò, voi mi spiacete
     Senza il buon Bassareo.

XLI

Che per la fredda stagione è da bevere.

Gonfio le gote
     Sorge Aquilon sdegnoso,
     E con spirti di neve il bosco ombrose
     Aspro percote,
     5E va torbido e reo
     Sul Regno di Nereo.
In gioghi alpini
     Non segna orma destriero,
     Ne si arrischia d’arar cauto nocchiero
     10Campi marini,
     Mal vuol rinchiuso in porto
     Dal buon Leneo conforto.
Al crudo verno
     Moviam dolce battaglia,
     15Facciasi distillar mosto di Taglia,
     Più buon Falerno:
     Ciascun si rechi in mano
     Gran tazza di Murano.
L’anno d’intorno
     20Sen va con vario stile;
     Quinci a poco vedrem l’amato Aprile,
     Aprile adorno,
     E liberal de’ fiori:
     Or versa vino, o Clori.

XLII

AL SIG. GIOVAN BATTISTA PINELLI.

Damigella
     Tutta bella,
     Versa, versa quel bel vino:
     Fa che cada
     5La rugiada,
     Distillata di rubino.
Ho nel seno
     Rio veneno,
     Che vi sparse Amor profondo,
     10Ma gittarlo,
     E lasciarlo
     Vo’ sommerso in questo fondo.
Damigella
     Tutta bella
     15Di quel vin tu non mi sazii:
     Fa che cada
     La rugiada
     Distillata di topazii.
Ah che spento
     20Io non sento
     Il furor degli ardor miei:
     Meno ardenti,
     Men cocenti
     Sono, ohimè, gl’incendj Etnei.