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DEL CHIABRERA 283

Fa segno di voler che siano prova
Della giustizia sna nostri tormenti,
E gli antichi flagelli in noi rinnova.
Misera etate! a cui fassi da lunge
Ogni conforto; ed ogni sorte avversa
Ognor più forte da vicin minaccia
Pietate in fondo; e va scacciata in bando
L’alma Giustizia; e la sincera Fede
Schernirsi dalla Froda invan procaccia;
E vinta dal furor l’amabil Pace
Al fiero Marte i seggi suoi concede,
Nè pur osa mostrar la bella faccia.
Quinci carca d’acciar sotto Boote
Freme orrida Bellona; e non le basta
Gonfiar Tartaree trombe; e dentro il sangue
Colà del carro suo tinger le rote,
Ma verso Italia vien scotendo l’asta;
Ed ella afflitta da’ prodigi impara
Lagrimar la stagion non giunta ancora;
Però colmo di duol guarda l’armento,
Come cosa perduta; e mesto in volto
Il montanaro i Tori aggioga ed ara;
E per entro le Terre il popol folto
Stassi dimesso; e di se stesso in forse
Le vedovelle van chiedendo aita;
E lasciando fra l’aure il crin disciolto
Rinchiudonsi le spose in foschi panni,
E per lo bianco sen versano pianti.
E come no? Se mal sicure culle,
Per non dire altro, han da trovar gli infanti?
Dunque por si vedran per modo indegno
A fronte a fronte al fin Cristiani acciari?
E sangue inonderà gli ampi sentieri?
Atterreransi le cittati? ed arsi
Spelonche diverran templi ed altari?
Così tempo verrà: crudi pensieri;
Che ove Dio s’adorò, latreran cani;
E fieno roderan greggie adunate,
Siccome in stalle; e nitriran destrieri,
Nei Passaggier destando ira e pietate.
Questi fieno i trofei; queste memorie
Lasceran di loro armi i re guerrieri
E questo il pregio fia di lor vittorie.
Ma non perde franchezza in tanti affanni,
Urban sacrato, fa querele, e prega,
Impiega alti messaggi; e non mai stanco
I Grandi irati raddolcir procura.
Per opra tua dileguerà lo sdegno,
Che ogni alma infiamma, ed ogni petto indura,
E fra noi bella Pace avrà suo regno.

LIBRO SECONDO.

     Ecco del vago Maggio il primo giorno,
Dell’alma Estate messaggier fiorito,
Viensene adorno; e per lo ciel sereno
Tra chiari rai d’Iperïone il figlio
S’affretta co’ Gemelli a far soggiorno:
Cara stagion; ma noi su prati erbosi
Con man Dedalea non tessiam ghirlande;
Anzi sposiamo a cetre inni divoti,
E nell’alta virtù de’ servi suoi
Celebriamo di Dio la pietà grande.
Jacopo non ci diè caduco esempio,
Onde l’alma si volga a van diletti,
Nè lo ci diè Filippo; altieri lumi,
Per cui nell’ombre della mortal vita
Scorgesi calle di gentil costume.
Ma pur come adivien, che in Orïente
Facendosi veder l’aureo mattino
Nel terzo dì di questo picciol anno,
Salmeggiando a gli altar, corra la gente?
Ed in bei panni il cittadin festoso
Mette in non cale suoi guadagni, e dona
A’ duri aratri il villanel riposo?
Perchè gaudio cotanto? alta Reina
Verso Gerusalem mosse veloce.
E sofferir non volle il cor fedele,
Che fra sassi negletti in scura fossa
Stesse l’onor dell’adorata Croce:
Affaticossi; e da quel fondo indegno
Ritornò glorïoso in chiara luce
Il caro Legno: il Legno, in cui sofferse
Il Figliuolo di Dio pena infinita,
Per dare a noi del Paradiso il Regno.
Ella marmi di Paro; ella d’Egitto
Trasse forti dïaspri, e pose in opera
Mille scarpelli, ed erse alberghi altieri,
In adornar le sacrosante travi
Attenta consumò tutti i pensieri:
Quivi le gemme fur di sua corona,
Quivi del manto suo gl’incliti fregi.
Musa, che hai sull’Olimpo i tuoi Permessi,
Or dammi cetra, ora furor mi spira
Sì, che io rompa il letargo a’ nostri regi,
S’ascolti cor, che per pietà sospira:
Prencipi eccelsi, che segnare in fronte
La Croce onnipotente avete in pregio,
Parvi giusto aspettar, che alme idolatre,
Lasciando il Gange la remota Aurora,
Vestano l’armi a disgombrare i varchi
Dal gran Sepolcro, che per voi s’adora?
Empia sciocchezza: ove torrete i cori?
Ove in pace spendete, ove in battaglia
Vostri tesori? se spiegate insegne,
Se rimbombano trombe, ecco le piagge
Tutte inondar di battezzato sangue.
Se depongonsi l’aste, ecco le cetre
Guidar dolci carole, ed ogni spirto
Sacrasi all’ozio, ed in lussuria langue:
Piantansi boschi; qui disgorga un fiume,
Là dolce si diffonde un picciol mare,
Opre ingegnose d’ammirabil mano;
Ma van correndo di Sïonne il monte
Turchi, Molossi, ed infedele armento
Lavasi i piedi immondi entro al Giordano.
Tutte lampeggian d’or, lampeggian d’ostri
Le nostre reggie, ed han fulgor di gemme,
Nel fango stassi Nazzarette intanto,
Ed infra rovi non appar Betlemme.
Ove spariti sono? ove sono iti
I Duci illustri, che di fede il petto,
Più che di ferro, in Chiaramonte armaro,
Per esempio di noi spirti ben nati?
Essi bramosi di celeste fama
Con lieto volto a bella morte andaro.
Ma par, che non ven caglia, o re scettrati;
E pur novello Urbano ecco vi chiama;
E pur v’invita: a’ sacri assalti ei grida,
E vinto il gel della canuta etate,