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286 poesie

Ella Orto chiuso, e sigillata Fonte,
E Mirra eletta, che da lunge odora,
Plutano ombrosa alle bell’onde appresso,
Bella ne’campi a rimirarsi Oliva,
Stella del mare, e rugiadosa Aurora.
Fra tai concenti ella saliva in alto
Divinamente, e sotto l’orme amate,
Più che dir non si può, l’etereo smalto
Divenia puro, e ne gioiva il cielo:
Con nuovo lume rabbelliasi Arturo;
E non manco Orïon fulgide rote
Cresceasi intorno, e raddoppiava i lampi
All’aureo carro, e lo tergea Boote.
Deh dove te ne vai, lingua caduca?
Questo mar non ha sponda: alta Reina,
Cui son d’ogni pietate in man le chiavi,
Alle nostre miserie il guardo gira;
E noi caduti nel mortal vïaggio
Solleva, e del gran Dio contempra l’ira.
Non soffrir, che fra noi perda speranza
Spirto, che in suo periglio a te ricorre,
Ed alla tua bontate alto sospira.
O d’ogni pace memorabil Arca,
In cui nel mondo si serbò non Manna,
Anzi dell’universo il gran Monarca,
Piegati a’ nostri prieghi: or che vegg’io
In mezzo un Oceän d’almi fulgori?
Io veggio lei, che di mercè fa segno:
Ognun meco s’atterri, ognun l’adori.
E se fermi il pensier popolo pio
Bartolommeo pregar non è men degno:
Egli la maestà del gran Maestro
Non tenne a vile, anzi l’amò con fede
Cotanto avanti, che a crudel coltello
Aspramente lasciò scorzar sue carni;
Sommo tormento. E chi non è rubello
D’ogni bontà, non negherà ghirlande
Ad Agostin, forte African Campione.
Col costui sforzo l’eresia non basta
A tener campo; così franco ei scrisse,
E per tal modo delle sacre carte
Ei seppe fabbricarsi e scudo ed asta,
Ch’ei trionfo di chi la Chiesa afflisse.
Con sì fatte gioconde a rimembrarsi
Giornate il mese condurrassi a fine;
Ma prima incontreransi atti di pena.
Il gran Battista per malizia inferna
Sofferse indegno oltraggio, onde egli apparse
Tragico esempio su funesta scena:
Leggiadra Damigella il volle ucciso,
Fecene prieghi con Erode, e seco
Il favellar di lei fu di Sirena.
Ah cieco mondo, e di laccioli ascosi
Tutto cosparso in suo cammino; ah cieco
Uom, che move, ove diletto il mena.
Chïunque alla beltà rivolge il core,
Nel profondo del sen cova pensieri,
Di donde sorge finalmente Amore,
Orrendo Basilisco: e quale al mondo
Leggesi istoria, che de’ suoi veneni
Non sappia lagrimare il mal sofferto?
E quale è regno, che non sia piangendo
Del suo fier arco, e degli strali esperto?
Face amorosa, che il Trojan pensiero
Infiammò d’Alessandro, a terra sparse
Ilïone alto, e le Dardanie mura,
E sotterrò la regïone Argiva
In tanto duol, che dopo tanti lustri
Ognor più fresca la memoria dora.
Ma se d’incerti esempi è fatta schiva
L’umana gente; e volentier condanna
Mortal Parnaso, ella rivolga in mente
La canutezza, che oltraggiò Susanna:
E negherassi che il figliuol d’Isai
Al gran Dio d’Israel venisse in ira
Per la fanciulla del fedele Uria?
Chiaro comprederà s’altri vi mira,
Che dal maligno arcier di Citerea
Si creano fra noi scempi infiniti.
Volgasi il guardo alla giornata rea.
Ove per gli occhi della bella Dina
Morti furono a ghiado i Sichimiti:
O bella fama, che ad ognor s’affina,
Come oro in fuoco; o d’ogni onor ben degna
La candidezza dell’Ebreo Giuseppe:
Egli al soave lusingar d’Egitto,
Alle querele minacciose ed empie
Sordo come aspe si rimase, e seppe
Contra lascivi assalti essere invitto,
E di be’ gigli coronò le tempie:
Ma noi per golfi d’Oceän profondo
Fatto abbiamo oggimai lungo tragitto:
Tempo è di prender terra, e di dar fondo.

LIBRO TERZO

Se tesor fosse meco, i pregi altieri
Del popolo del Ciel non tergerei
Pur col limpido fonte d’Elicona,
Ma segno lascerei de’ miei pensieri
A’ lor divoti con mirabil opra
In riva al mar della non vil Savona.
Selci Africane, e dell’Arabia marmi
Ergerebbono un Tempio; e monti Argivi
Dariano alte colonne; e d’ogn’intorno
Starian Colossi poco men che vivi:
Oro gli altari, e de’ sacrati arnesi
Splenderiano per oro i fregi illustri;
E l’immense pareti, alta pittura,
Terrebbon della turba i guardi intenti,
Meravigliando di pennelli industri:
Di varj regai innumerabil genti
Vedriansi; e loro in mezzo ampio steccato,
Ed ivi eccelso su Dedalei seggi,
Per ogni parte spanderia lontano
Lampi d’ostro e di gemme il gran Senato:
Ma fra lor sommo, e successor di Pietro
Rifulgerebbe il sacrosanto Urbano,
Pastor del mondo: ei coronato i crini
Del tesoro infinito, alma Tiara
E fra le pompe degli eterei manti
Sederebbe in sembianza oltra mondana;
E tal porrebbe ad adorar fra’ Divi
Solennemente la reina Ispana.
In cima dell’Olimpo i campi eterni
Colmeria gaudio; e le magion beate
Farebbe risonar canto divino;
Ma nel sulfureo orror degli antri inferni
Bestemmierebbe ognora arso e riarso
L’empio Lutero, e ’l non miglior Calvino.