Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/50

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del chiabrera 37

     Non temute procelle;
     Altri canuto i crini
     55Canta mostri marini,
     E tempestose stelle.
Tra così lieti scogli
     Intanto al dolce mormorar de’ venti
     Da me sgombro i cordogli,
     60Onde vanno quaggiù carchi i viventi;
     Oh se le voci, che sì care sciogli
     Di Flora in grembo, tua gentil magione,
     Mai fosser qui, caro Averardo, udite,
     Oh di quanta armonia Glauco, e Tritone,
     65E colmerebbe il cor l’ampia Anfitrite;
     Ma non son dal buon Carlo unqua partite
     Tue vestigia amorose;
     Carlo, cui dà giocondo
     Arno dal ricco fondo
     70Ghirlande glorïose.
E Roma anco gli porge
     Non d’industria mortale ostri volgari
     Ma di sua man lo scorge
     Almo a regnar fra’ sacrosanti altari.
     75A ragion del Giordano oggi risorge
     La speme: or sua sembianza egra rischiari
     Giudea sì vilipesa e sì dimessa:
     A ragion l’onte ad obbliare impari
     Del giogo vil Gerusalemme oppressa.
     80Può dar Lorena alla provincia istessa1
     Altra volta salute,
     E de’ Medici alteri
     A gli ottomani arcieri
     Nota è l’alta virtute.

LIV

A MONSIGNOR

MAFFEO BARBERINO

CARDINALE


Al gran coro Febeo cetra diletta
     Arresta i fonti,
     E su ne i monti
     L’orride belve a riposarsi alletta;
     5E sprezzando di Steropi, e di Bronti,
     Le maggior prove
     Serena Giove
     Quando involto di nembi aspro saetta,
     E soggiogare alle sue corde lice
     10La morte, insuperabil falciatrice.
Fu chi di questa armato, oh meraviglia!
     Trascorse il lito
     Del rio Cocito,
     Ove mai Sol non sorse all’altrui ciglia,
     15E fu suo dir sì caramente udito
     Ne’ foschi chiostri,
     Che i crudi mostri,
     Dell’atroce Plutone empia famiglia,
     Cessaro i gridi, e si fermaro intenti,
     20Mentre facea volar sì fatti accenti:
Benchè, signor de’ tenebrosi regni,
     Fama dispieghi,
     Che gli altrui preghi
     Giammai quaggiù tua maestà non degni.
     25Non temo, che pietate oggi si neghi
     A’ miei gran pianti,
     Che per gli amanti
     D’ogni usata ragion passanti i segni,
     E se fiamma infinita arse mai petto,
     30È questo che oggi piange al tuo cospetto.
Ma se a cor, che bellezza alta innamora,
     Non ben si crede,
     Presta almen fede
     Ad Euridice, che con voi dimora,
     35Dirti saprà di che cordoglio erede
     Io sia rimaso;
     Deh l’empio occaso,
     Che innanzi tempo s’affrettò, ristora,
     E di lei priva alquanto il tuo soggiorno,
     40Che tosto entrambo a te farem ritorno.
Sponendo per tal via gli arsi desiri
     Del core interno,
     Trasse l’Inferno,
     Ad apprender pietà de’ suoi martiri.
     45Ma per l’antica cetra, ove discerno,
     Che amor ti sprona,
     Questa che suona
     In man del mio Signor, che non ammiri?
     Oggi non punto a disprezzar men forte
     50Söavemente ogni poter di morte
Febo ad altri non mai sì chiara asperse
     L’Aonia face,
     Nè mortal voce
     Di sì giocondo mel Mercurio asperse;
     55Corra l’invidia ria, spieghi veloce
     Ogni sua penna
     Là dove Senna
     A gran virtù grande corona offerse,
     E poscia in Vaticano a mirar prenda
     60Fra’ tanti lampi di che lume ei splenda.
Sull’Italico Ren veggio sua gloria
     Segno agli arcieri,
     Che d’inni alteri
     Arman contro l’obblío l’altrui memoria;
     65Ed ivi schifo de’ crudeli imperi
     Così corregge,
     Che ottien sua legge
     D’ogni perverso cor dolce vittoria:
     Servo di Pietro, in questa dura etate
     70Buon pescator nel mar della pietate.
Fiume ho sul tergo, e posso al Sole alzarmi
     D’ogni gran nome;
     Nè temer, come
     Icaro già, nel mar precipitarmi;
     75Ma s’altri di candor tinto le chiome,
     Giunto a vecchiezza,
     Cresco vaghezza
     Di far parole, e non por meta a i carmi,
     Ed io delle mie labbra amo il riposo.
     80Diffuso favellar sempre è nojoso.

  1. Il cardinale Carlo nacque di Ferdinando I e di Cristina della Casa di Lorena, la quale vantava fra i suoi antenati Goffredo di Buglione.