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38 poesie

LV

PER COSMO MEDICI

GRAN DUCA DI TOSCANA

Allora infermo

Questa, che ’l buon Vulcano
     Coppa temprommi alle fornaci accese,
     Qual fia la man cortese,
     Che me la colmi di gran vino Ispano?
     5O dell’alma virtute,
     Onde rinfranca i cor Tosca Verdea,
     Chi me la colmerà? perché oggi io bea
     Alla cara salute
     Di Cosmo nostro Re?
10Ma s’ei col piè leggiero
     Scorgerà danze all’amorose sere,
     O se fugaci fere
     Atterrerà su corridor destriero,
     Io fra’ suoni e fra’ canti
     15Di bel Trebbian, che altrui la lingua allaccia,
     O di manna, che stilla aurea Vernaccia,
     O di nettâr di Chianti
     Votar ne vo’ ben tre.
Quando di grembo a Teti
     20Sorge a’ mortali un desïato giorno,
     Volgere il piede intorno
     Con le liete baccanti alcun non vieti;
     Quando fia, quando? quando
     Ch’esca quel Sole, ed apparisca al fine?
     25Io vo’ gir di Corimbi ornato il crine
     Tornando e ritornando
     Buon Bacco Evoè.
S’oltra ogni umana costume
     Valse virtù di sconosciuta fronde
     30Sì, che nel sen dell’onde
     Glauco si trasformasse in nuovo Nume;
     Non fia su queste rive
     Erba possente a ricrear le membra
     Di lui che sul terren Dio ne rassembra,
     35Se giustizia prescrive,
     O dispensa mercè?
Non cessi in bella prova
     Anima saggia, ad onorarsi avvezza;
     Ma, se altri gloria sprezza,
     40Covi le piume, ed a ben far non mova.
     Certo il novel Chirone
     Fregi di stelle in ciel non spera indarno;
     E di cetre Febee lungo il bell’Arno
     Avrà nobil corone,
     45Premio della sua fè.
Ma tu dal monte ombroso,
     Ove con dolce suon misuri i passi,
     Perch’ei le ciglia abbassi,
     Ritrova, o Clio, di Pasitèa lo sposo;
     50E dalle porte eburne,
     Onde governa a sue voler le chiavi,
     De’ sogni tranquillissimi soavi
     Le turbe taciturne
     Tragga con esso sè.
55E quinci ei rappresenti
     Giocondo mormorío d’aure volanti
     Augel che dolce canti,
     E per fiorita riva acque correnti,
     Cervi ratti e leggieri
     60Via dileguar con le ramose fronti,
     E su quell’orme cacciator ben pronti,
     E rapidi levrieri
     Non perdonare al piè.
Poi, se nell’alto chiostro
     65Febo sferza di rai l’accese rote,
     Muse, con nuove note
     Rinnovate diletto al Signor nostro;
     Ma non battaglie ed armi
     Cantate, o sangue sparso in sull’arene:
     70A far nel petto altrui l’alme serene,
     Apollo a’ vostri carmi
     D’amor materia diè.
Dite l’alte querele,
     Che sopra Etna spargea l’arso gigante,
     75Quando dolente amante
     Chiamò l’amata Galatea crudele;
     Ben con lunghi sospiri
     Ei facea risonar piagge e caverne,
     Ma della Ninfa l’alterezze eterne
     80A’ suoi tanti martíri
     Piegar mai non potè.
Tra belle ciglia e chiare
     Anima, egli dicea, non mai tranquilla,
     Dimmi Cariddi e Scilla
     85Non sono assai per dare infamia al mare?
     Perchè piena d’orgoglio
     Fulmina tua beltà sempre sdegnosa?
     Pur dello scempio altrui, pur se bramosa
     Sei dell’altrui cordoglio,
     90Rivolgi gli occhi in me.
O che nel mar si bagni,
     O che dall’oceán Febo risorga,
     Altro non è ch’ei scorga
     Fuor ch’immensi tormenti a me compagni:
     95Sempre nel sen raccolgo
     Geloso ghiaccio, onde il mio cor vien manco;
     Moro in mesto silenzio, e se dal fianco
     Unqua lo spirto sciolgo,
     Sempre rimbomba, oimè.
100Deh, come in te s’estinse
     Ogni pietà del mio martìre estremo,
     Più dicea Polifemo,
     Ma non poteo, cotanta pena il vinse:
     Come poscia spietato
     105I puro sangue del rival diffuse,
     Chiudete in petto; e nol ridite, o Muse:
     Altrui grave peccato
     Da raccontar non è.

LIV

A MONSIGNOR

ASCANIO CARDINAL COLONNA

E VICERÈ D’ARAGONA


O chiaro, o vile, o per grand’ôr felice,
     O lagrimoso in povertate oscura,
     A’ bei raggi del Sol tutti ne fura
     L’empia man della morte falciatrice.