Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/54

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del chiabrera 41

Orsù non solo infonde
     Apollo arte di cetra,
     Ma d’Aganippe all’onde
     Presagio anco s’impetra.
     55Lo stral di mia faretra
     Avventerò, che in verità s’accheti,
     Qual chiaro se ne va per tanti lustri.
     Il Figlio altier della cerulea Teti;
     Tal fian le luci immense
     60Fra’ nostri re del giovinetto Estense.

LX

A COSMO II

GRAN DUCA DI TOSCANA

Che si conducano acque da far fontane in Firenze.

Se benchè al nome tuo fama raccenda
     Lampi d’onor, tu ne procuri ognora,
     Come a’ veraci Eroi virtute insegna;
     Cosi, benchè Firenze oggi risplenda
     5D’alma beltà, chiede ragione ancora,
     Che per te via più bella ognor divegna.
     Ben so, che ’l pellegrin tosto ch’ei mira
     Immense strade, e ricchi alberghi illustri,
     E stabil ponti, e per scarpelli industri
     10Dedalee logge taciturno ammira,
     E più, s’ei guarda i Tempi
     Alzarsi al ciel sovra i mortali esempi.
Io l’uso dir; nè, se mel detta Amore,
     Sia quinci invidia a contrastar possente,
     15Che contra verità vane son l’armi.
     E chi vinto non fia d’alto stupore
     Riguardando spirar dipinta gente,
     E fare atti di vita, e bronzi e marmi?
     O di valore, o di bei vanti egregi
     20Cosmo già carco in sull’età primiera,
     Reggia non é si di bellezze altera,
     Che alla tua reggia non consenta i pregi
     E se ver si ragiona,
     Manca solo una gemma a tua corona.
25Ma se bell’acqua le trascorre in seno,
     Dolce sonando, e di vivace argento
     Con fresche fonti la fa mai gioconda,
     Ricca sarà d’ogni vaghezza appieno;
     Perché fiorisca in lei sommo ornamento,
     30Le basta un gorgogliar di limpid’onda:
     Ed ella è da vicin; picciol tesoro
     A riva può condur nostri desiri,
     E tu, che saggio intentamente giri
     L’alma a segno d’onor, disprezzi l’oro,
     35Non lo voglia, ch’impari
     Un re servire a’ desiderj avari.
Prendi teco a pensar, se si sublima,
     Chi può fregiar di singolar bellezza
     Di palagio reale auguste mura,
     40Che fia di te, che di beltate in cima
     Fermato avrai d’una città l’ampiezza?
     Quaggiù tanto poter certo è ventura;
     E se in Firenze le Napee gradite
     Con Pomona gentil fermano il piede,
     45E se Flora regnarvi ognor si vede,
     Vedransene le Najadi sbandite,
     Dive vezzose, Dive
     Dilette a Febo in sull’Aonie rive?
Non mento, no: voce di Fama antica
     50Lunge dal cieco obblío la gloria serba:
     E farne rimembranza anco è diletto.
     Già sulla piaggia di Parnaso apríca
     Variata di fior splendeva l’erba
     E sorgeva d’allor chiuso boschetto;
     55Liete eran l’ombre, e dell’amabil monte
     Mormorava nel grembo aura felice;
     Ma che pro? La bellissima pendice
     Non s’onorava mai d’acqua di fonte;
     Si che all’asciutto albergo
     60Eran le Muse per voltare il tergo.
Ed ecco alato il corridor sen venne,
     Che ’I Greco Cavalier dal dorso scosse
     Per dar consiglio alla superbia umana:
     Ei sul bel colle raffrenò le penne,
     65E con l’unghia famosa il suol percosse,
     E di nobile umor sgorgò fontana;
     Ratto d’ivi cantar prese desfo
     Pomposa Euterpe di purpurea vesta,
     E nuove note a misurar fu presta
     70Le sparse chiome inghirlandata Clio,
     Fermando a i dolci accenti
     Le non mai ferme piume in aria i venti.
Or quinci delle Muse ogni seguace
     Corre alle fonti, ed ivi affina i canti,
     75Ed a quei mormorfi lieto dimora;
     Che quanto apertamente al Signor piace,
     Piace non meno a’ suoi fedeli. Oh quanti
     Udransi Cigni per Firenze allora!
     Fia chi la bella pace, onde si bea
     80Arno, racconti; e tra’ feroci acciari
     Le reggie palme, ed i sacrati altari,
     E la discesa dall’Olimpo Astrea;
     E tra catene involti
     Di Libia i duci, ed i cristian disciolti.
85Parmi che quivi per le notti estive
     Galileo sorga, e ci rammenti come
     Volgano per lo Ciel fiamme novelle;
     Veggio che l’ampie sfere ei ci descrive,
     E de’ Medici grandi il chiaro nome,
     90Perchè più chiare sian, dona alle stelle;
     A quel parlar di meraviglia segni,
     Faran le genti, e per udir suoi detti
     Premeransi a vicenda e terghi e petti,
     Nel popol folto i più leggiadri ingegni,
     95E l’alma Urania i versi
     Detterà poi di maggior lume aspersi.

LXI

PER LO GIUOCO DEL PALLONE ORDINATO IN FIRENZE

DAL GRAN DUCA COSMO II

l’anno 1618

Se il fiero Marte armato
     Tremendo vien su formidabil rote,
     Delle rie trombe al fiato
     Ogni sposa d’orror turba le gote;
     5Ma fulgida asta scote
     La giovinezza de’ campioni alteri: