Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/53

Da Wikisource.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
40 poesie

     Or fia di tuo saper sì fatto il frutto?
     60La metà porre in paragon del tutto?
Se troppo ardire io piglio,
     Non sia lingua mortal, che mi condanni.
     Certo son, che Matilde in questi affanni
     Tal ti daria consiglio:
     65Oh se a ben rimirarla,
     Se a ben udirla tu l’avessi avanti!
     Ma che? dalle provincie alme e stellanti
     Ella così ti parla;
     E sai che de’ Celesti ogni parola
     70Bene ubbidita i nostri cor consola.
Lo scettro, onde ti privi,
     Acciò l’anima tua non si sconforti,
     A Dio lo dona; egli è Signor de’ morti,
     Ed è Signor de’ vivi.
     75Servendo a lui, qual manco
     Unqua ti può venir grado d’onore?
     Forse l’incontrastabil suo valore,
     Solo per te fia stanco?
     Parli la plebe a suo volere, e pensi:
     80Non con la plebe hanno da gir gli Estensi.

LVIII

A D. VINCENZO GONZAGA

DUCA DI MANTOVA.

Come l’ampiezza delle regie mura,
     Come vidi gli alberghi alteri e vaghi,
     Come il corso gentil de’ chiari laghi,
     Ond’è la regia tua lieta e sicura;
5Così colmai di meraviglia il seno;
     Indi l’anima volse i pensier suoi
     A contemplar, che sì pregiati Eroi
     Aperser qui le ciglia al ciel sereno.
Francesco il grande, ond’è famoso il Taro,
     10Il non minor, per cui Milan fu vinto,
     E tanti Cavalier, che in sangue tinto
     Di Marte il calle a grande onor calcaro.
Nè punto lento alla memoria corse
     L’antico Cigno, volator sublime,
     15Che non di Pindo a suo voler le cime,
     Ma le cime del Ciel corse e ricorse.
Oh se in quest’aure, ove con nobil vanni,
     Volò da prima, oggi facesse il nido,
     Oh come in alto l’ammirabil grido
     20Farebbe gir de’ tuoi reali affanni!
Ei, che nudrito infra l’Aonie Dive,
     Più sacro ottenne infra mortali il canto,
     Che fe’ men chiara, inestimabil vanto,
     L’eccelsa voce delle trombe Argive.
25Giungere al colmo de’ tuoi pregi alteri
     Potría col pregio dell’Eterea lira,
     O Regnator del Mincio, in cui s’ammira
     L’inclito sangue de’ più grand’Imperi.
Io non così; ma qual nocchier, che stanco
     30In varcar fiumi, all’oceán discende,
     Non pria gli spazj di Nettun comprende,
     Che sbigottisce, e nel pensar vien manco;
Tal se io rivolgo alle tue glorie il core,
     Del troppo lungo dir tremo e pavento;
     35Non è sempre felice alto ardimento:
     Misurar sè medesmo è gran valore.
Gli avi di sangue ostil molli e vermigli,
     Le palme, premio di sudori estremi,
     E te, che l’orme lor fervido premi,
     40Bel specchio in armi a’ generosi figli.
Non canterò, che temerarie piume
     Darebbono a quest’onde un nuovo nome,
     Diran le corde di mia cetra, come
     Ornar le Muse è tuo gentil costume.

LIX

PER FRANCESCO D’ESTE

DUCA DI MODENA.

Febo sul carro adorno,
     Scotendo il freno d’oro
     Fatto ha più d’un ritorno
     Allo stellante Toro:
     5Ed io nessuno onoro.
     De’ ben diletti alla Virtute Eroi,
     Cor mio, che badi? e quale stato è questo?
     Seguono il neghittoso i biasmi suoi:
     Vuoi tu forse corona
     10D’altrove nati fior, che in Elicona?
Mira qual gioventute
     Di Cavalieri egregi
     Suolti pur con virtute
     Ornar d’incliti fregi,
     15Noi, che serviamo a’ regi,
     Tragittando di Lete il golfo oscuro,
     Spiegar dobbiamo ben velate antenne.
     Melpomene fedel sia Palinuro,
     E poi che il vento è fresco,
     20Salpiamo coll’onor del gran Francesco.
Umile di lui speme
     Fiero Aquilon disperga,
     Ed Austro seco insieme
     L’involva e la sommerga.
     25Alta co’ regi alberga
     Virtute, che del Ciel guarda le porte;
     E se del vulgo la credenza è frale,
     I gemelli Ledei rendanla forte,
     E l’ammirabil ira,
     30Per cui sparso tra fiamme Ilio sospira.
Quale a ragion non viene
     Onor di vaga istoria
     A lui, che in Ippocrene
     Sorge ognor sua memoria?
     35Lume d’ogni altra gloria
     Al Sol d’Achille disparisce e cede,
     E sel confessa la Meonia terra,
     Ove trascorse procelloso il piede,
     E delle turbe oppresse
     40Fece su’ larghi campi orrida messe.
Vaga Vergine, orrenda,
     Sul Xanto allor sen venne:
     Ivi vibrò tremenda
     Termodontea bipenne;
     45Ma poco alfin sostenne
     I rei furor della Tessalic’asta;
     Che difesa da’ suoi, benchè feroci,
     Cadde con guancia scolorita e guasta,
     E l’anima sdegnosa,
     50Corse di Stige per la strada ombrosa.