Vai al contenuto

Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/63

Da Wikisource.
50 poesie

     E con terribil fronte
     E con voci spietate
Nembrotte il ciel feriva.
     Ecco all’uman diletto
     Esposto, egli diceva, almo terreno;
     Qui per nostro ricetto
     Torre innalziamo infino al ciel sereno;
     Chè se mai più rinversa
     La destra onnipotente
     Pioggia di nembi oscuri,
     E vorrà mai sommersa
     Tutta la mortal gente,
     Quinci sarem sicuri.
Ma di qual meraviglia
     Ingombrerassi ogni futura prole,
     Faticando le ciglia
     In rimirar non comparabil mole?
     O di Noè gran seme,
     Ammirabile farsi
     E lodato desio;
     E dee la nostra speme
     Pur solo in noi fondarst.
     L’uomo a sè stesso è Dio. —
Ei favellava ancora,
     Che sorsero gli spirti al Ciel nemici,
     Ed ergeano ad ognora
     Gli eccelsi abbominevoli edifici;
     Quando il Rettor superno
     Dall’alto a guardar prese
     Sovra il lavor degli empi;
     E ne fe’ tal governo,
     Che le superbe imprese
     Fur di sciocchezza esempi.

LXXII

Quando ne’ borghi di Lajazzo e nella Fenicia si fecero duecento ottanta schiavi, e si predarono trentuno pezzi d’artiglieria.

V

Sen riede a noi dalle remote sponde
     Della Fenicia Argiva,
     E di dove Neréo rinfrange l’onde
     Pur di Lajazzo all’arenosa riva,
     5Del nostro re la bella armata, e riede
     Carca d’alme perverse
     In ogni tempo avverse
     Allo splendor della Cristiana Fede;
     E reca bronzi, che temprar fa Marte
     10In più mortal fucina,
     Quando di membra lacerate e sparte
     Ingombrar le campagne egli destina.
Nè molto andrà che de’ metalli stessi
     Un fulminar feroce
     15Udranno in Asia, di spavento oppressi,
     Ed in Libia ogni porto ed ogni foce;
     Ma se brama il convito i vin spumanti,
     Dolcezza alma di cori,
     E se i guerrier sudori
     20Su Pindarica cetra amano i canti;
     Flora gentile, Arno reale, il plettro
     Oggi in man vi recate,
     E di quell’arpa non men sparsa d’elettro,
     Di che si ricchi e si superbi andate.
25Che direm not? l’umane cose in terra
     Il caso le governa?
     Bestemmia: i cieli, e ciò che in lor si serra,
     Regge il saper della Possanza eterna;
     Quinci apparvero qui spiriti accesi
     30Verso i buon Citaristi,
     Onde i miglior fur visti
     Farsi il Parnaso lor questi paesi.
     A ragione in Val d’Arno e paschi e nidi
     Godono i Cigni egregi,
     35Poichè han da sollevar musici gridi,
     Lodando i Duci, e di Firenze i Regi.
Non conterò la cantatrice schiera,
     Nè pur dironne il nome;
     Chè pria l’arene, e pria per primavera
     40Potrei d’un bosco numerar le chiome:
     Ben afferm’io che sì gentil famiglia
     È de’ regni ornamento;
     E che al Febeo concento
     L’Aquila su nel ciel china le ciglia;
     45E sì dal sonno vinta abbassa l’ali,
     Che pur quegli abbandona,
     Onde è ministra, fulmini immortali,
     Perchè Giove quaggiù spesso non tuona.
Che più? le Parche, ove la bella Clio
     50Tempra l’Aonia cetra,
     I puri velli han di filar desío,
     E lungo stame nostra vita impetra;
     E Lete al suono dell’amabil arco
     Tranquilla i gorghi suoi,
     55Tal ch’indi i sommi eroi
     Ne’ golfi dell’obblío trovano il varco,
     Almo tragitto! e fan soggiorno al fine,
     Scorti dalla virtute,
     Infra le stelle d’or, magion divine,
     60Ove trombe per lor mai non son mute.
O quaggiù fra’ mortali alma diletta,
     Pregio de’ tuoi sublime,
     Gran Ferdinando, colassù t’aspetta
     Seggio ben scelto infra le sedie prime.
     65In tanto vivi lungamente, e godi;
     Tu di virtute altero,
     Tu singolar d’Impero
     Italia non avrai scarsa di lodi.
     Io certamente, o re, via più che d’oro,
     70Bramoso di tua gloria,
     Nudrirò di Parnaso un verde alloro,
     Per sempre coronar la tua memoria.

LXXIII

Quando al Capo delle Colonne tutte le Capitane dell’armata di Spagna diedero caccia a tre galere di Turchi, e sola la Capitana i Firenze conquistò la Capitana di Biserta, con centotrentatre schiavi, franchi cento ottanta.

VI

Se gir per l’aria voti
     Non dovesser miei preghi, io certamente
     Con calde voci al Ciel vorrei voltarmi,
     Perchè il gran Buonarroti
     Lasciasse l’ombre, e tra la viva gente
     Oggi tornasse ad illustrare i marmi;