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54 | poesie |
Allor che ’l vulgo Ebreo
Mirabil varco aperse?
Seppe, strano ad udire!
Seppe il fondo asciugarsi,
40E pur quasi arginarsi
Per Israel sofferse;
Ma l’empie torme a lui seguir converse
Nell’onda appena entraro,
Che tutte disperando il piè fermaro.
45Ove troppo orgoglioso
Ebbe l’Egitto in grembo,
Fiero ed orrido nembo
Quell’oceán trascorse;
Rimbombante spumoso
50Tra’ gorghi intenebrati
Di Menfi i duci armati,
E Faraone assorse.
Qual tuono allor d’alte querele sorse?
Altri grida, altri geme;
55Al fin tutti sommerge il mar che freme
Sull’Arabiche arene
Lieto Israel sel mira,
E l’opra eccelsa ammira,
Ed a cantarne prende.
60Così tra’ rischi e pene
E tra’ villani oltraggi
Fa lieto aspri vïaggi
Chi Dio scôrge e difende.
Saettator d’inferno arco non tende,
65Che a piagar sia possente,
Se la forza del Ciel non gliel consente.
Quinci in lieta ventura
Vêr li campi marini
Fur del gran Cosmo i pini
70Alle Cilicie foci;
E d’Agriman le mura
Posero in ampio ardore,
Ed alte poppe e prore
Soggiogaro a lor voci;
75All’apparir delle parpuree Croci
Gittaro a terra i brandi
Le colà più stimate anime grandi.
Certo per l’Orïente
Durerà fresco il pianto;
80Nè di sì nobil vanto
Trïonferà l’obblio:
L’esterrefatta gente,
Che in Agriman fa nido,
Alza funereo grido
85Sul duolo acerbo e rio;
Ed a’ suoi parla: Omai s’altri ha desio
Salvarsi il patrio tetto,
Di vile sonno non ingombri il petto.
Con navi sì spalmate
90Eolo che avverso spiri,
O Nettun che s’adiri,
In van per noi contrasta;
E d’ampie torri armate
È vana ogni difesa
95Là dove fa contesa
Spada Toscana ed asta.
Ob quale a noi di pianto, oh qual sovrasta
Nembo d’aspre querele
Sposti al furor dell’invincibil vele!
100Fallace uman conforto,
Fallace; ahi lassi, quando
Cadde il gran Ferdinando1,
Liete fur nostre ciglia;
Ed ecco oggi è risorto,
105Di cui vera virtute
Sul fior di gioventate
A più temer consiglia.
Arno a’ secoli nostri arma famiglia,
Per cui dall’Asia un volo
110Prende letizia, e l’abbandona in duolo.
LXXVII
X
Certo è che al nascer mio, non come ignoto
Le Muse mi lattaro,
Perchè al nome di lor fossi devoto;
Onde, benchè vêr me l’oro mirassi
5Di se medesmo avaro,
Non mai lungi da lor mossi i miei passi:
Così tra selve, e sopra aerei sassi,
E per solinghi liti
A’ mormorii correnti
10Di silvestri torrenti
Trassi i miei dì romiti;
E discendendo dalle cime alpine
Cercai le più riposte onde marine.
Spesso m’apparve Euterpe, e dolcemente
15Sostenne i pensier miei
Contra i dispregi della volgar gente;
E sorridendo m’affermò che aita
Pur finalmente avrei
Nei duri incontri della mortal vita.
20Sciocchezza estrema, colà dove invita
Sovrammortal possanza
A ben sperare un core,
S’egli perde vigore,
Ne sa nudrir speranza.
25Io raccolsi quei detti, e prestai fede,
E di felicità son fatto erede.
Cosmo rivolse in me sua man cortese,
Ed alzando mio stato,
Meraviglioso a’ popoli mi rese.
30Però consagro a’ pregi suoi mia lira;
Chè verso un core ingrato
Ogni bell’alma e tutto il ciel s’adira.
Dunque, vergine Clio, lieta rimira
De’ miei cotanti prieghi
35A’ cupidi fervori;
E de’ tuoi gran tesori
Gemma non mi si nieghi:
Scegli la più gentil che abbia Elicona,
Onde io cresca fulgor di sua corona.
40Che se quaggiuso in terra animi amici
Empionsi di diletti,
Ascoltando de’ suoi guerre felici,
Lunghissimo gioir non verrà meno
Degl’Italici al petto,
45Se io tesso istoria di valor Tirreno.
- ↑ Ferdinando I, padre di Cosmo II, morì nel 1608.