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120 vita di alberto pisani

d’indiano entro il pasticcio — anzi ! è — qui la estrasse e spiego!In) — Un’ode ! j>er la caro mia nonna.... Santissimi lanternari ! di Uberto ! proprio?... Lèggila dunque — e la porse al ragazzo. E il ragazzo si alzò. Con In rubiconda vergogna nel viso, lesse. Un successone!... Perfino l’ingegnere (ìabuz- zi, tànghero il quale portava ogni festa la bocca in casa Pisani, cioè v’appariva insieme alle cinque, mangiava a coscie di (lindo, non pausando che il tempo necessario per bere, poi. preso il calìe, dileguava non salutando nessuno, esclamò «bravo!» I! vero ch’egli tiràvasi giù. proprio allora, un fellone del saporito inviluppo. Quanto alla nonna, pensate ! Durante il dire di Alberto, seguì con un sorriso mostoso e ninnolando la testa, la tiritèra dei versi ; poi, uno s’eiàssero bacio al nipote e un triplo buon-dì incartato ; al domani, la lode, di sotto il vetro i* in cornice, al capezzale di lei. Dùnque, la vocazione di Alberto s’era spiegata. Ne venne, Dio scampi noi ! un diluvio di versi, versi di ogni quantità e qualità. Che, se, infiammato da Arioslo. incominciò a rompicollo un poema zeppo di paladini dalla falala e sguizzasole armatura, e dame fra le ritorte. e incantamenti, e cavalieri u con armi e aspetto, ohe dieea mistero „ i quali comparivano all’improvviso sul finire del Canio, ed inventari di sculli marmi od arrazzi eterni, e profezie per l’anno nuovo, e singolari tenzoni, e combattenti che — andati in paniccia — con un po’ d'unguento bocchino èrano ai primi amori ; còllo dall'ombra d’Alfieri, il nostro amico abbandonò a mezza strada canto quaranlesimonono il suo Don Gahwronc di