Pagina:Opere (Dossi) I.djvu/284

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CAPITOLO DECIMOTERZO. Il pìccolo studio di Al borio è ili uni inalo. E il nostro gióvane amico, sta in una poltrona, immolo, e con gli occhi volali. Tuttavìa, non dorme. L'ànima sua è giù giù, sol lo l’afa di una insìpida vita, disamorata, muta come la via percorsa, da quattro mesi in qua, dal suo libro. Suonano nel saloltino, argentinamente, nove ore. Alberto apre gli occhi. È l’ora, al bàtter di cui, egli usa di fare un giretto nella città., per rincasare accaldilo a corcarsi ; e, dall’abitùdine mosso, Alberto, pur quella sera, si alza ed osco. Ma, quella sera, non pigliò a camminare, come diceva Fiorelli, a passi da colosso di Rodi : i pensieri di lui non èrano più gli inquieti e i febbrili del solilo ; ei si sentiva la tesla come un rame strausato, che non lasciava se non islracche incisioni ; come un fiammifero privo e di fòsforo e zollo. E lentamente s’indirizzò pei bastioni, sua passeggiata abituale. A que’ bastioni, illuminati a risparmio, in sull’allèa vèr la città, convonìvan gli amanti ; o Alberto, rasentandoli in furia, sposso avea lor fallo accapponare la pelle. Se- nonchè, quella volla, chi trovossi a disagio, fu lui. Or, che c’entrava mai egli, tomo senza il compagno, tomo de sublimate, tra quei volumi di amori appajati ? or perchè scompigliarli ?