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260 VITA DI ALBERTO PISANI

a un sol piano e dalle gronde sporgenti, prendeva tre quarti di un lato. Dall altro, si sciorinava un murello. Ivi, Alberto siede su’na colonna rovescia dirimpetto alla casa, e, avvolto nell’ombra Jel pìccolo muro che si allungava sino a mezzo la via, mirò, con gli occhi gonfi di pianto, la vasta e nuda facciata, pinta dal raggio lunare, interrogandone le gelosìe una per una, e soprattutto il portone, il quale, sbarrato, gli rispondeva un decisissimo «no»; di là di cui rantolava un mastino. E il nostro anneo lungamente stette nella pietosa contemplazione. Sonarono passi da un estremo della contrada ; un uomo vi s’avanzava, canterellando. Ma di botto, azzitti.... Perchè? Avea scorto nciroinbra la siloetta di Uberto e udito il ringhio del cane. E, lor passando nel mezzo, la gelata paura gli dovette gocciare, e, passato, far la restante contrada sotto lo spago che il raggiungesse una palla. Volto il cantone, dièdela a gambe. E, quando Alberto si dipartì dal suo sedile di pietra, ne levò seco il freddo Di bella prima, ei si diresse al cuore della città, ma poi, cambiando consiglio, rifece il cammino verso il perduto quartiere, dove piegò e tenne per una via a cenciosi tuguri in su’n lato, che si serravano l’uno contro dell’altro, tanto per sostenersi, mentre loro di fronte correva una roggia, negra, profonda e tentatrice ; indi, arrivò ad una antica chiesola. Era essa di quelle, per così dire, di gello; non già un’accolta di mattoni e di pietre loggiati a uno stile. Era di quelle, che non potevano uscire se non da una niente di artista, dalla certezza infiammata di averne il cielo