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Beneficenza de' ricchi 9

ospedale che ha letti duemila, una farmacìa capace di avvelenare mezza Europa, e mèdici e preti da farne strame ai cavalli. Dovresti pure conòscermi! Guardami bene. Non mi hai tu forse ammirato sulla piazza maggiore, in bronzo, abbigliato alla greca? non hai tu letto la mia iscrizione latina? io duca, io marchese, io tutor urbis pauperumque pater?... A me si fanno pùbliche preci, a me si assicura un posto sul taccuino.... Eppure! — e, impallidendo, sospira.

— Ed io — fà una damina fra il dispettoso e il compunto, cui la veletta dissìmula il minio e il minio gli anni — non sono stata la patronessa, io, di tutte le carità cittadine? Chi, meglio di me, sapeva aprire le faccie e le borse più chiuse, insistendo ai rabbuffi, facèndomi mètter anche alla porta, per amore dei pòveri? E chi mai può contare i tuguri, ai quali la mia carrozza di gala e le mie quattro livree si sono fermate? chi le scaluccie sudìce (inorridisco a pensarci!) che arrampicai, senza curarmi de’ miei nuovi velluti e delle mie trine e delle mie gioie, per arrischiarmi nel mezzo della più cupa miseria, provocatrice al delitto?... E, per i pòveri (la crònaca della città e il buon Dio mi son testimoni) non ho io forse sfidato i miasmi delle crociere? e non ho forse ballato? e cantato in teatro? e venduto perfino alle fiere?... Oh a quanti lini non feci mai l’orlo! oh quanti servi mandai a spedale! oh quante fanciulle posi a servizio! oh quante ne maritai!... Di me le gazzette son piene.... Eppure! — e sbadiglia.