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10 il regno dei cieli


— Come dùnque non siamo felici? —

Interrogale la vostra coscienza. Voi non faceste altrui carità, non avèndone fatta prima a voi stessi. Te, vecchio ministro e neo-duca, era il rimorso che ti forzava la mano, che ti forzava ad offrire un ospizio a quel pòpolo immenso di rovinati, òpera tua. Ma non hai fatto se non restituire di giorno quanto furavi la notte, ma non hai illustrato se non le tue colpe. Fu poi, o pietosa damina, seguivi la foggia. Il figurino di Francia, per quella stagione, sostituiva alla raccolta dei francobolli la quèstua pei pòveri, passatempo nuovo per te, altra noia al tuo pròssimo, e tu naturalmente hai cercato che il tuo cappellino meglio apparisse di quello delle compagne. Così, ti ficcasti, scroccatrice a diletto, nelle famiglie disamorando lo stesso amore, e portasti l’insulto delle tue calde pellicce nelle soffitte gelate, per protèggere chi non volea, per farti dar di quell’àngelo che ti negàvano i cicisbei mèmori delle graffiate, per lèggerti il nome su que’ fogli bugiardi che vìvono un giorno. Maritasti sì le fanciulle, ma a chi? a cinquantenni vissuti fino agli ottanta. Girasti sì gli ospedali, ma a che? per rammentare la morte e i vendicativi tuoi Dii a chi sen morìa dimèntico, per evocare alla vista delle crudeli agonìe le stancate emozioni nella frusta tua carne.

Come dùnque esigete, o incaritatèvoli, glìntimi premi della carità? come dùnque, o senza bontà, vi lamentate di èssere stati buoni? Chè, se quel banchiere superbo, arricchito dai falli-