Pagina:Opere (Dossi) IV.djvu/70

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L'altra preziosità del concorso è il sig. Arìstide Mariani (n. 197) il quale ha rivestito di creta una faragginosa pignoccata, pinza di roba allegòrica, che poi spiega partitamente in una voluminosa relazione. Ringraziata la sorte per aver potuto misurare le forze in così grande arringo, il sig. Arìstide comincia a distìnguere fra lavori obbiettivi e subiettivi, disserta sui quattro sensi in cui si dèbbono intèndere le scritture de' nostri antichi poeti, fà una passeggiatala tra i Volsci, i Rùtuli, i Greci, i Latini, gli Etruschi, e, ripromettèndosi compatimento se le dèbol leve del suo ingegno non gli permìsero di elevarsi quanto avrebbe meritato la natura dell'àrgomento, nonchè sperando che gli sarà riconosciuta la schietta e calorosa manifestazione dell'ànimo suo, addita, come acconcio monumento, un tessuto ùnico e complesso, intricatìssimo, un vero intreccio dinàmico di linee quale soltanto potrebbe riscontrarsi nella volta celeste, un intreccio insomma da formare ciò che dìcesi una epopèa, il quale cùmolo è il vero monumento da erìgersi al padre della patria.

E, perchè maggiormente risalti la ragionevolezza della sua proposta, egli osserva che archi, templi, colonne, tutto insomma si sfascia e perisce: altro mezzo, quindi, non resta, per salvare nella perpetuità il gran monumento, che di fabbricare addirittura una colossale rovina.

Riconoscendo però di aver detto nebulosamente quanto nebulosamente gli fermentava nella mente e dubitando di aver sognato come sognava l'antica fàvola; — Omero — egli scrive — dice che dalla mente di Giove procede il sogno. Cita quindi i versi di Virgilio: At Venus aetheros inter Dea candida nimbos, e quelli di Dante: Dentro del monte sta dritto un gran veglio, con quel che segue; rimembra, sempre a propòsito, l'avventura di Enèa