Pagina:Opere (Rapisardi) IV.djvu/20

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16 Il Giobbe

     Qui gli enormi frantoi, gemine moli
     120Di granito e di querce, onde fluisce
     Quasi un lago di pigro olio, che pura
     Ambra all’occhio ti par, miele alla lingua.
     Addossati ad un colle in ben murate
     Case, in capo a un sentier dritto ed erbose»
     125Da quel lato e da questo eran costrutti,
     E una tettoia proteggeali; accanto
     Con le mura muscose èvvi una stalla,
     Ove al tempo dell’opere han ristoro
     L’asine tarde e i tolleranti buoi
     130E con essi talvolta anco i pastori.
     Che fra lo strame e il fermentato limo
     Senton men acri le iperboree sizze.
Ma da questa lontan, proprio all’estremo
     Lembo dei grassi pascoli, i presepi
     135Custoditi stendeansi, in cui tremila
     Dromedari bramian, ventosa razza
     Che cento miglia in un dì sol divora,
     Nè la sete paventa, ove di ricche
     Merci gravata la gibbosa groppa.
     140Alla sferza del sole inesorato
     Le immense solitudini attraversi.
     Pascevano oltre ad essi or erba or fieno
     Mille bocche di buoi, quando in più lochi
     Rumina van non men di cinquecento