Pagina:Opere (Rapisardi) IV.djvu/30

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26 Il Giobbe

     375Fu la fortuna; tribolato è il suolo
     Ove piantò la fuggitiva tenda:
     Compatir cui più manca e più s’affanna
     Dee chi di gioje e di ricolti abbonda.
     Parla Dio nel tuo labbro, allora esclama
     380Fattosi core il giovincel, cui troppo
     Della madre era giunto acre il rabbuffo;
     Se non soccorre al povero ramingo
     Chi possiede e chi sta, come randage
     Belve in cerca di preda, errar vedremo
     385Sempre i meschini, a cui letizie ed agi,
     Non diritto alla vita Iddio sconsente.
     E di rimbalzo a lui con riso amaro
     Scrollando il capo: buon marito, disse
     L’acerba donna, assai lodar dobbiamo
     390L’accorto senno che il figliuol ne mostra
     Si di buon’ora: in verità a sublimi
     Cose egli aspira, e a rendermi s’affretta
     Del latte che gli porsi ampia mercede:
     Ecco, ei prodiga il core al primo incontro
     395A donna tal, che reggere la soga
     Del tuo camello a mala pena è degna.
     Aspra troppo tu sei, così all’acuta
     Lingua d’Oleila il buon Giobbe rispose.
     Nè meraviglia io n’ho: sono le madri
     400Oelose ognor dei figli, e a mal in core