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Pagina:Opere (Rapisardi) IV.djvu/48

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44 Il Giobbe

     Di virtù, di candor bella e d’ardire,
     835Soletta incontro al masnadier si fece.
     Stupi il fiero a tal vista; e poi che vani
     Provò gli allettamenti e le minacce,
     D’ira cieco e d’amor su lei s’avventa
     Bramoso a un tempo di baci e di sangue.
     840Com’aquila ferita al suol protesa
     Rota intorno il feroce occhio, cercando
     Le note altezze e il derelitto nido,
     Agita le gagliarde ali, rabbuffa
     Le penne, il collo inarca, e il rostro vibra;
     845Impavida così, ben che percossa
     Dal rapace amator, si dibattea
     La vergine superba, e di sprezzosi
     Sguardi si facea scudo, arma dei denti,
     Quando Chèdar sorvenne, o che le tracce
     850Di Colèiba seguisse, o amore o caso
     Con gli amici più fidi ivi il traesse.
     Alla vista di Zilpa arse il geloso
     Petto di sdegno e di pietà; si volse
     Allo stuol de’ seguaci, e: Sarà nostra,
     855Disse, o noi della morte. I fianchi strinse
     Al buon destriero, ed agitò la lancia.
     Gloria di Dio, Colèiba urlò, sorgendo
     Siccome nembo autunnal, chi ardisce
     Profanar l’ora dell’amor? Dal grembo