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     Non piange ei no; stupisce sol che cresca
     La materia a’ suoi mali,
     E dopo tante morti ancor sia vivo:
     Del suo cor redivivo
     80Odia i risarcimenti; e sì molesta
     Fecondità di duolo invan detesta.
Ronchi, deh tu che fuor del vulgo ignaro
     Con generose piante
     Stampi le vie di Pindo al ciel vicine,
     85Di sacra fronda incoronato il crine
     A l’ebano sonante
     Marita il plettro, e qui cantiamo al paro.
     Tinte di tosco amaro
     Le livide pupille Invidia rote,
     90Che nostre glorie affascinar non puote.
E se Fortuna rea ch’a l’opre belle
     Sempre crudel s’oppose
     Voterà contro noi l’empia faretra,
     Sia de l’inerme sen scudo la cetra;
     95Forze maravigliose
     A un armonico suon dieder le stelle.
     Fra l’Ionie procelle
     Qual corresse Arion mortal periglio
     Ascolta, e di stupor inarca il ciglio.
100Carco d’argento e d’ôr, degna mercede
     De le musiche corde,
     Mentre lieto ei sen torna al greco lito,
     Da’ suoi tesori e da i nocchier tradito
     Ne le tempeste ingorde
     105Già la morte vicina aver si vede:
     Quindi supplice chiede
     Tanto spazio al morir ch’almen si doglia,
     E ’l canto estremo in insu la cetra ei scioglia.
Con la maestra man scorrendo allora,
     110Varia ma dolce via
     Temprò d’acuto suon le fila aurate;
     E qual fa risonar le rive amate
     Di flebile armonia
     Bel cigno in sul Meandro anzi che mora,
     115Tal ei da l’alta prora
     Volto agli Dei del mar sciolse i concenti,
     E tacquer l’oude e si fermaro i venti.
Poichè ’l mondo, dicea, più fè non serba,
     Ne più giustizia ha ’l cielo,
     120Che sicuro il peccar concede a’ rei,
     Deh! voi del salso regno umidi Dei
     Mova a pietoso zelo
     L’empio rigor de la mia sorte acerba.
     Dunque troncar in erba
     125Dovrà morte sì cruda il viver mio?
     Misero in che peccai? Che mal fec’io?
Io nè del sangue altrui la terra aspersi,
     Nè gli altari spogliai,
     Profano involator de’ sacri fregi:
     130Sol con plettro innocente avanti a i regi
     Dolce lira temprai,
     E degne lodi a le grand’alme offersi;
     Sol celebrai co’ versi
     D’Amor la face e le saette acute:
     135Ma se questo è peccar, qual è virtute?
Numi del mar, cortesi Numi ah! voi
     Abbonacciate l’onda,
     E mi porgete a sì grand’uopo aita;
     Che se vostra mercè rimango in vita,
     140Farò su l’erma sponda
     Ander più d’un’altar d’odori coi.
     Tai far gli accenti suoi;
     Qui fermò i plettro, e nel ceruleo smalto
     Con intrepido cor balzò d’un salto.
145Ma pietoso delfin, che già l’aspetta
     In mezzo a l’acque, il dorso
     Volontario suppone a si bel peso;
     Nè si veloce mai da l’arco leso
     Fugge stral, come il corso
     150Lo squamoso destrier per l’acque affretta;
     Con la salma diletta
     Alle spiagge d’Acaia al fin perviene,
     E la depone in su l’amiche arene.

AL MEDESIMO

Che l’età presente è corrotta dall’ozio.

Ronchi, tu forse a piè de l’Aventino
     O del Cebo or t’aggiri. Ivi tra l’erbe
     Cercando i grandi avanzi e le superbe
     Reliquie vai de lo splendor Latino.
5E fra sdegno e pietà, mentre che miri
     Ove un tempo s’alzâr templi e teatri
     Or armenti muggir, strider aratri,
     Dal profondo del cor teco sospiri.
Ma de l’antica Roma incenerite
     10Ch’or sian le moli a l’età ria s’ascriva:
     Nostra colpa ben è ch’oggi non viva
     Chi de l’antica Roma i figli imite.
Ben molt’archi e colonne in più d’un segno
     Serban del valor prisco alta memoria,
     15Ma non si vede già per propria gloria
     Chi d’archi e di colonne ora sia degno.
Italia i tuoi sì generosi spirti
     Con dolce inganno ozio e lascivia han spenti:
     E non t’avvedi, misera, e non senti
     20Che i lauri tuoi degeneraro in mirti?
Perdona a detti miei. Già fur tuoi studi
     Durar le membra a la palestra, al salto,
     Frenar corsieri e in bellicoso assalto
     In curvar archi, impugnar lance e scudi.
25Or consigliata dal cristallo amico
     Nutri la chioma e te l’increspi ad arte;
     E ne le vesti di grand’ôr consparte
     Porti de gli avi il patrimonio antico.
A profumarti il seno Assiria manda
     30De la spiaggia Sabea gli odor più fini;
     E ricche tele, e prezïosi lini
     Per fregiartene il collo intesse Olanda.
Spuman nelle tue mense in tazze aurate
     Di Scio pietrosa i peregrini amori;
     35E del Falerno insu gli estivi ardori
     Doman l’annoso orgoglio onde gelate
A le superbe tue prodighe cene
     Mandan pregiati augei Numidia e Fasi;
     E fra liquidi odori in aurei vasi
     40Fuman le pesche di lontane arene.
Tal non fosti già tu quando vedesti
     I consoli aratori in Campidoglio,
     E tra’ ruvidi fasci in umil soglio
     Seder mirasti i dittatori agresti.
45Ma le rustiche man che dietro il plaustro
     Stimolavan pur dianzi i lenti buoi
     Fondârti il regno e gli stendardi tuoi
     Trïonfando portâr dal Borea a l’Austro.
Or di tante grandezze appena resta