Pagina:Opere complete di Galileo Galilei XV.djvu/316

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298 poesie.

Dove ch’a un Dottor bisognerebbe
     Dargli la mala pasqua col mal anno,
     219A voler far quel ch’ei meriterebbe.
Non so come non crepi dall’affanno,
     Quand’egli ha intorno a sè diciotto o venti,
     222Che per udirlo a bocca aperta stanno.
A me non par egli essere altrimenti,
     Che sia tra’ pettirossi la civetta,
     225O la Misericordia tra i Nocenti.
E n’ho avuto a’ miei dì più d’una stretta,
     E però, Toga, va pur in buon’ora,
     228Vattene in pace, che sia benedetta.
Ma quand’anche un Dottor andasse fuora,
     E ch’andar solo pur gli bisognassi,
     231Come si vede ch’egli avvien talora,
Tu non lo vedi andar se non pe’ chiassi,
     Per la vergogna, o ver lungo le mura,
     234E in simil altri luoghi da papassi.
E par ch’e’ fugga la mala ventura;
     Volgesi or da man manca or da man destra,
     237Com’un che del bargello abbia paura.
Pare una gatta in una via maestra,
     Che sbalordita fugga le persone,
     240Quando è cascata giù dalla finestra,
Che se ne corre via carpon carpone,
     Tanto ch’ella s’imbuchi e si difenda,
     243Perchè le spiace la conversazione.
Se tu vai fuor per far qualche faccenda,
     Se tu l’ha’ a far innanzi desinare,
     246Tu non la fai che è ora di merenda;
Perchè la Toga non ti lascia andare,
     Ti s’attraversa, t’impaccia, t’intrica,
     249Ch’è uno stento a poter camminare.