Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/135

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intorno la vita e le opere di luciano. 127

aveva tratto gloria e ricchezze: ed i filosofi di avere apprese le loro dottrine per beffarle, di avere studiato Platone per guastarne l’arte. A queste due accuse ei rispondeva trafiggendoli, e dicendo: Lasciare il peggio per appigliarsi al meglio non è leggerezza ma buon giudizio: molti grandi ed illustri così mutarono, e sono lodati. Polemone da giovane scapestrato diventò filosofo; Dionisio da stoico diventò epicureo; Aristippo da severo diventò voluttuoso; Diogene lasciò il banco e Pirrone la pittura, e si diedero alla filosofia. Perchè biasimate me che ho lasciata la rettorica e la filosofia, e mi sono messo a scrivere dialoghi? E qui naturalmente doveva allegare molte ragioni per dimostrare come la rettorica era scaduta, e non più professione per un uomo onesto, e come la filosofia ridotta a vuote disputazioni non poteva piacere ad un uomo di senno. Questo era il senso della risposta, non la risposta di Luciano. Egli retore, non sa dimenticare i tribunali; egli in Atene, non vede nè ode altro che piati, che piacciono tanto a quel popolo: quest’accusa è un piato vecchio che già appartiene al mondo dell’immaginazione, nel quale egli ti trasporta, e scrive questo dialogo.

Ecco Giove che si lagna di avere per mano tante faccende da non fargli chiudere occhi nè respirare: si affatica notte e giorno a governare il mondo, e pure molti sparlan di lui, e sono malcontenti, e dicono che egli è un poltrone. Molti affari sono trascurati per mancanza di tempo: stanno lì un monte di processi coperti di ragnateli, e non potuti sbrigare: sono citatorie e libelli e querele che le Arti e le Scienze hanno fatto contro alcuni uomini: e questi processi non sono ancora giudicati. A consiglio di Mercurio egli decide di farli giudicare in Atene, ne dà l’incarico allo stesso Mercurio e alla Giustizia, la quale si turba a sentire che deve