Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/151

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intorno la vita e le opere di luciano. 143

non mi percuoti tu, ma il fato, e tu sei impotente. Questo dialogo è l’espressione più compiuta dello scetticismo religioso di Luciano, ed è fatto con molta schiettezza e molti lepori: ma non è altro che una semplice discussione, non un’opera d’arte. Lo scrittore sente la gravità del suo argomento, e lo tratta con certo rigore, che ammette pochi ornamenti, e rifiuta le invenzioni e la poesia. Il fato sì terribile agli antichi e scuro ed inevitabile è mostrato ridicolo, perchè è già conosciuto e vinto dalla ragione umana. E il Cinico che la rappresenta, si protesta di non usare gli argomenti della scuole, ma le osservazioni del senno naturale contro Giove, personificazione della ragione sacerdotale antica. Questa discussione è importantissima; finisce con l’annullamento del fato ed il trionfo pieno della libertà umana, per dir meglio e come l’intendeva Luciano, della libertà individuale. Poteva egli entrare poesia in questa discussione sì grave?

LXXXI. Lo stesso concetto è nel Giove tragedo, ma non nella stessa ampiezza, però il dialogo piglia una forma artistica e leggiera, ha molta comica poesia, e molte grazie. Giove pensoso e tristo come un re di tragedia, si lagna di una grande sventura: gli fanno forza a dire, ed ei dice: Ieri uno Stoico ed un Epicureo in Atene disputavano pubblicamente intorno alla provvidenza ed agli Dei; la gente che udiva era molta, ed aspettano chi uscirà vincitore della disputa, che oggi dovrà finire. Che consiglio prendere? Convocare tutti gli Dei a parlamento, perchè la è una faccenda che importa a tutti. Chiamati, convengono tutti, e siedono ciascuno secondo che è di oro, di argento, di bronzo: viene anche il Colosso di Rodi, e rimane in piedi e fa da ombrella all’adunanza. Giove fa la sua diceria raffazzonando Demostene, ed espone il caso. Momo dimanda