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152 intorno la vita e le opere di luciano. 163

tra vita? Chi non sa sofferire non è savio. Non pure Menippo, ma Diogene ancora è personaggio principale in questi dialoghi. Diogene deride Alessandro (d. 13) che si faceva tenere per un dio, e morde la crudeltà del conquistatore. Il quale, paragonato a suo padre Filippo (d. 44), non pare più sì grande per geste guerriere, ed è un vanitoso. Poi Diogene mette in canzone Ercole (d. 16), e gli dice: L’ombra tua è nell’inferno, l’anima è dio in cielo, il corpo è cenere sull’Oeta: dunque sono tre Ercoli, o non ce n’è che uno, ed è morto. Infine trafigge Mausolo, che è superbo del sepolcro rizzatogli dalla moglie (d. 24).

Diogene è introdotto ancora in due dialoghi che a me non paiono genuini, perchè non hanno nè concetto nè arte lucianesca. Nel 27° parla con Antistene e Cratete del grande amore che gli uomini hanno alla vita, ed ognuno di essi narra una storiella per confermare questo argomento. Nell’11° Diogene ragiona con Cratete di quelli che uccellano alle eredità dei ricchi, e dice con gran tuono la gran freddura, che egli non desiderava la morte di Antistene per ereditarne il bastone, nè Cratete voleva ereditare da lui la botte e la bisaccia coi lupini. Essi, i filosofi, lasciano ed ereditano sapienza, verità e libertà. Chi può credere che questi paroloni sono di Luciano?

Questo 11° dialogo mi pare una sgarbata imitazione dei cinque dialoghi (5, 6, 7, 8, 9), nei quali Luciano ha dipinti gli uccellatori di eredità, tanto comuni nel suo tempo, che spesso rimanevano uccellati: egli li ritrae a maraviglia, con semplicità, facendoli parlare, e mostrandone l’avidità sozzissima, senza moralizzare a sproposito. Generoso è poi il rimprovero di Antiloco ad Achille (d. 15), che disonestando i due sapienti suoi maestri Chirone e Fenice, aveva dotto voler essere piutto-