Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/205

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nigrino. 197

bono mettere le corone. Se, diceva, si piacciono dell’odore delle viole e delle rose, sotto il naso si dovriano mettere le corone, per fiutarle e trarne la maggior soavità. Si rideva ancora di quegli altri che stanno su tutti i punti della gola, e attendono a variar salse e delicature: e diceva che durano tante fatiche per un piacere sì corto e sì breve. Ve’, si affaticano tanto per quattro dita, quanto è lunga la gola dell’uomo: che prima di mangiare non godono dei cibi di caro prezzo, dopo di averli mangiati non ne rimangono meglio sazi: dunque per un piacere che non dura più che il trapassar per le canne, spendono tante ricchezze. E soggiungeva che hanno ragione a far questo, perchè sono ignoranti, e non conoscono i piaceri più veri che dà la filosofia a chi la studia.

Discorse anche molto di ciò che si fa nei bagni pubblici, di coloro che ci vanno con una truppa di gente, con grande boria, appoggiandosi ai servi e quasi facendosi portare. Ma più di tutto gli pareva bruttissima quell’usanza che è nella città e nei bagni: che alcuni servi debbono andare innanzi al padrone, e gridando avvertirlo di guardarsi ai piedi nel passare un rialto, una fossatella, e fargli ricordare (cosa veramente nuova) che ei cammina. E maravigliavasi che costoro non han bisogno anche della bocca e delle mani altrui per mangiare, e delle orecchie altrui per udire, giacchè con gli occhi sani han bisogno di chi guardi innanzi a loro, e si fan dire quelle parole che si dicono ai poveri ciechi. E questa usanza la tengono anche i magistrati camminando per le piazze in pieno giorno.

Poi che ragionommi di queste e di molte altre cose, tacquesi. Io era stato a udirlo maravigliato, e temendo che ei non finisse. Ma poi che cessò, io mi sentii quello che sentirono i Feaci. Per molto tempo lo riguardai come ammaliato, poi mi sentii turbare ed aggirare il capo, sudavo tutto, volevo parlare, ma avevo un nodo in gola, e non potevo, la voce mi mancava, la lingua balbettava, infine non potei altro che scoppiare a piangere. La sua parola non mi fece colpo leggiero e così a caso, ma mi aperse una piaga profonda e mortale; fu colpo di mano perita, e, per così dire, mi trapassò sino all’anima. E se anche ad un par mio è lecito di discorrere un po’ da filosofo, io penso che questo accada così. Io credo che