Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/218

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210 timone.

Pluto. Che cosa?

Mercurio. Il Tesoro: non abbiam condotto il più necessario.

Pluto. Non darti pena per questo. Io lo lascio sempre sotterra quando salgo da voi, e guardo se ei sta ben chiuso, e l’ammonisco di non aprir la porta a nessuno, se non ode la voce mia.

Mercurio. Ma già entriamo nell’Attica: seguimi, e tienti alla mia clamide finchè giungiamo al confine.

Pluto. Fai bene, o Mercurio, se mi conduci per mano: se mi lasciassi, i’ mi sperderei, e tosto incontrerei Iperbolo o Cleone. Ma che è questo rumore, come di ferro che percuota su pietra?

Mercurio. È Timone, che zappa un sassoso campicello su questa costa vicina. Oh! gli sta da presso la Povertà, e la Fatica ancora: c’è la Pazienza, la Saggezza, la Fortezza, e tutta la schiera capitanata dalla Fame. Queste son lance migliori delle tue.

Pluto. Perchè non torniamo indietro, o Mercurio? Noi non faremo alcun pro con un uomo accerchiato da tanto esercito.

Mercurio. Giove vuole altramente, non ci mostriamo codardi.

La Povertà. Dove meni cotestui, o uccisore di Argo?

Mercurio. A cotesto Timone siam mandati da Giove.

La Povertà. Ora Pluto a Timone, ora che io, avendolo raccolto frollato dalla mollezza, e confidatolo alla saggezza ed alla fatica, l’ho renduto uomo forte e dabbene? E tanto spregevole vi pare la Povertà, e tanto meritevole d’insulti, che il solo bene ch’io avevo, quest’uomo da me formato alla virtù, voi me lo strappate? Pluto lo riprenderà, lo ridarà in mano all’Orgoglio ed al Lusso, e quando l’avran renduto infemminito, vigliacco, insensato, lo getteranno a me un’altra volta, già fatto uno straccio.

Mercurio. Così vuole Giove, o Povertà.

La Povertà. Me ne vado: e voi, o Fatica, o Saggezza, o tutte voi, seguitemi. Questi tosto conoscerà chi son io che egli perde; compagna alla fatica, maestra di virtù, gl’invigo-