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232 | dialoghi degli dei. |
porpora, mettiti scarpette ricamate d’oro, componi i passi a suono di flauto e di timpani, e vedrai che verranno dietro a te più donne, che non Menadi a Bacco.
Giove. Bah! non vorrei far questo per essere amato.
Amore. Dunque, o Giove, lascia d’amare: questo è più facile.
Giove. No; voglio amare, ma senza tante brighe. A questo patto ti lascio un’altra volta.
3.
Giove e Mercurio.
Giove. La bella figliuola d’Inaco, la conosci, o Mercurio?
Mercurio. Sì: vuoi dire Io.
Giove. Ella non è più fanciulla, ma giovenca.
Mercurio. Oh peccato! E come fu trasmutata?
Giove. Per gelosia Giunone la trasmutò. Ed un altro gran male ha macchinato contro quella misera: le ha dato a custode un boaro che ha molti occhi, ed è detto Argo; il quale fa pascer la giovenca, ed ei non dorme mai.
Mercurio. Che dunque si dee fare?
Giove. Vola giù nella selva Nemea dove è Argo bifolco, ed uccidilo; mena Io per mare in Egitto, e falla Iside: e d’indi innanzi ella sia Dea a quelle genti, e faccia crescere il Nilo, e mandi i venti, e salvi i naviganti.
4.
Giove e Ganimede.
Giove. Su via, o Ganimede, giacchè siamo arrivati qui, dammi ora un bacio: vedi che io non ho più il rostro ricurvo, nè gli unghioni, nè le ali, nè sono uccello come ti parevo.