Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/315

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dialoghi dei morti. 307

16.

Diogene ed Ercole.


Diogene. Non è questi Ercole? È proprio desso; l’arco, la clava, la pelle del leone, la persona, tutto d’Ercole. Ed è morto egli figliuolo di Giove? Dimmi, o gran vincitore, se’ tu un morto? Io t’offeriva sagrifizi su la terra come ad un dio.

Ercole. E bene li offerivi. Ercole sta in cielo tra gli Dei, ed è marito d’Ebe piè-leggiadra: io sono l’ombra sua.

Diogene. Come dici? ombra del dio? Ed è possibile che uno sia metà iddio, e metà morto?

Ercole. Sì: perchè non morì egli, ma io, immagine sua.

Diogene. Capisco; in suo scambio egli diede te a Plutone, e tu ora sei morto in vece sua.

Ercole. Appunto.

Diogene. Ma come Eaco, che è sì attento, non si accorse che tu non eri colui, ed accolse un Ercole scambiato che gli si presentò innanzi?

Ercole. La simiglianza era perfetta.

Diogene. Ben dici: sì perfetta da esser tu egli. Ma bada che non sia il contrario, che tu sei Ercole, e che l’ombra tua sposò Ebe fra gli Dei.

Ercole. Sei un temerario e linguacciuto: e se non cessi di motteggiarmi, ti farò vedere di qual dio son l’ombra io.

Diogene. Tu sfoderi ed appronti l’arco: oh che? vuoi far paura ad un morto? Ma via dimmi un po’ del tuo Ercole: quando egli viveva, stavi tu con lui, ed eri ombra anche allora? o pure eravate uno in vita: e quando moriste vi separaste, egli volossene tra gli Dei, e tu ombra venisti in inferno come dovevi?

Ercole. I’ non dovrei rispondere ad uno che cerca appiccagnoli per beffare; ma ti voglio dire anche questo. Ciò che in Ercole era di Anfitrione, morì, e son io tutto: ciò che era di Giove sta in cielo con gli Dei.

Diogene. Ora capisco bene: due Ercoli, tu dici, partorì Alcmena ad un punto, quel d’Anfitrione, e quel di Giove: onde voi vi scambiaste essendo gemelli similissimi.