Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/316

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308 dialoghi dei morti.


Ercole. No, o sciocco: entrambi eravam lui.

Diogene. Oh questo non m’è facile a capire: due Ercoli mescolati in uno, salvo che non eravate come un centauro, uomo e Dio in una sola natura.

Ercole. Ma ciascuno degli uomini non è composto di due, anima e corpo? Perchè dunque non credere che l’anima sia in cielo, perchè apparteneva a Giove, ed io che son mortale fra i morti?

Diogene. Diresti bene, o caro Anfitrioniade, se tu fossi corpo: ma tu ora sei ombra incorporea; onde tu corri pericolo di aver fatto tre Ercoli.

Ercole. Come tre?

Diogene. Ecco qui: uno è in cielo, tu ombra fra noi, e il corpo che già diventò polvere su l’Oeta. Ma bada di trovarti un terzo padre del corpo.

Ercole. Tu devi essere un audace sofista. Chi se’ tu?

Diogene. L’ombra di Diogene Sinopeo: che non abito fra gl’immortali Iddii, ma mi sto tra questi morti dabbene, e mi rido di queste fredde baie.


17.

Menippo e Tantalo.


Menippo. Perchè piangi, o Tantalo? perchè meni tante smanie stando presso al palude?

Tantalo. Perchè, o Menippo, i’ muoio di sete.

Menippo. E t’incresce tanto di curvarti per bere, o attignere col cavo della mano?

Tantalo. È indarno se mi curvo, chè l’acqua mi fugge come mi sente vicino: e se ne prendo una giumella e l’appresso alla bocca, non giungo a bagnarne l’estremità del labbro, chè scorremi tra le dita non so come, lasciandomi la mano asciutta.

Menippo. Strana pena è cotesta, o Tantalo. Ma dimmi, che bisogno hai tu di bere? Tu non hai corpo, ma sta sepolto