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312 | dialoghi dei morti. |
Eaco. È Ciro: e questi è Creso; e questi che gli sta vicino, è Sardanapalo: di sopra gli è Mida: e quegli è Serse.
Menippo. Oh, se’ tu, o malvagio, che dèsti quella battisoffia alla Grecia, congiungesti l’Ellesponto, e volevi far mare dov’eran monti? Oh come è divenuto Creso! A Sardanapalo vorrei dar proprio una ceffata: me lo permetti, o Eaco?
Eaco. No, statti: gli spezzeresti quella testolina di donna.
Menippo. Vo’ gittargli proprio una sputacchiata a questo bagascione.
Eaco. Vuoi chi’io ti mostri i sapienti?
Menippo. Sì, per Giove.
Eaco. Ecco, questo primo è Pitagora.
Menippo. Salve, o Euforbo, o Apollo, o chi vuoi tu.
Pitagora. Salve anche tu, o Menippo.
Menippo. Hai più quella tua gamba d’oro?
Pitagora. No. Ma fammi vedere se hai cosa da mangiare nella bisaccia.
Menippo. Fave, o caro: non è cibo per te.
Pitagora. Dammele qui: tra’ morti altre dottrine. Ho imparato che qui non han che fare le fave con le teste dei genitori.1
Eaco. Questi è Solone di Esecestide, e quegli è Talete, con loro è Pittaco, e gli altri: son tutti e sette, come vedi.
Menippo. Sereni e lieti son questi soli fra tutti, o Eaco. E colui, che è tutto pieno di cenere, come focaccia cotta sotto la bragia, ed è tutto fiorito di scottature, chi è?
Eaco. È Empedocle, che ci è venuto così mezzo abbrustolato dall’Etna.
Menippo. O valentuomo col piè di bronzo, e perchè ti gettasti nel cratere del fuoco?
Empedocle. Per una malinconia, o Menippo.
Menippo. No, per Giove: ma per una pazzia, una vanagloria, una stoltezza grande: queste fecer carbone di te e delle scarpette, e meritamente. Ma ti facesti il conto senza l’oste: fosti veduto quando morivi. E Socrate, o Eaco, dov’è?
- ↑ Si sa che Pitagora vietava ai suoi discepoli il mangiar fave: e contano tra le calunnie e le beffe dette di questo filosofo, che ei dicesse esser tale misfatto il mangiarne, quale sarebbe mangiar la testa del proprio padre.