Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/321

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dialoghi dei morti. 313


Eaco. Suole piacevoleggiare con Nestore e Palamede.

Menippo. Vorrei vederlo, se è qui.

Eaco. Vedi quel calvo?

Menippo. Tutti son calvi: questo segno non distingue nessuno.

Eaco. Quel nasetto dico.

Menippo. E torni? qui non ci ha nasi affatto.

Socrate. Cerchi me, o Menippo?

Menippo. Sì, o Socrate.

Socrate. Che nuove d’Atene?

Menippo. Molti de’ giovani dicono di filosofare: e a riguardar le vesti e l’andare ei ci sarien di gran filosofi assai.

Socrate. Assai di questi io ne vidi.

Menippo. Vedesti, pensomi, come ti sono venuti qui Aristippo tutto spirante odore d’unguento, e Platone ammaestrato in Sicilia a carezzar tiranni.

Socrate. E di me che pensano?

Menippo. Per questo tu sei il più fortunato uomo del mondo. Tutti credono che tu fosti un miracolo d’uomo, che sapevi tutte le cose, quando (ora si può dire la verità, credo) tu non sapevi niente.

Socrate. Io lo dicevo questo a tutti: e quei credevano ch’io lo dicessi per ironia.

Menippo. Chi son cotestoro che hai vicino?

Socrate. Carmide, Fedro, ed il figliuolo di Clinia.

Menippo. Bene, o Socrate: anche qui con l’arte tua, anche qui sei tra be’ garzoni.

Socrate. E che potrei fare di più piacevole? Ma adágiati vicino a noi, se ti aggrada.

Menippo. Io men vo da Creso e da Sardanapalo, per allogarmi vicino ad essi. Io soglio farmi le più grosse risa quando gli odo piangere.

Eaco. Ed anch’io me ne vado: se no qualcuno di voi altri morti se ne scappa. Un’altra volta vedrai il resto, o Menippo.

Menippo. Vattene, o Eaco: chè questo mi basta.