Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/329

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dialoghi dei morti. 321

entrambi d’un sol colpo da un fantaccino Trace n una mischia sull’Arasse contro i Cappadoci. Arsace s’era spinto, com’ei narrava, molto più innanzi degli altri: il Trace copertosi con lo scudo lo affronta, svia la lancia di Arsace, pone la sarissa in resta, e trapassa lui ed il cavallo.

Antistene. Come è possibile, o Crate, d’un sol colpo far questo?

Crate. È facile, o Antistene. Ei cavalcava agitando una lancia di venti cubiti; il Trace poichè con lo scudo si parò il colpo, e deviò la punta, piegando il ginocchio, presenta la sarissa al cavallo, il quale nella foga e nell’empito vi si getta sopra col petto; il ferro gli entra, e trapassa anche Arsace nell’inguine sino al lombo. Ecco come fu: più colpa del cavallo che del cavaliero. Egli adunque non poteva patire di andar confuso con gli altri, e voleva scendere a cavallo. Orite stava come un balordo, aveva i piedi sì molli che non poteva nè stare a terra nè camminare, come son tutti i Medi, i quali quando scavalcano, camminano a stenti sulle punte de’ piedi, come se andasser su le spine. S’era gettato per terra, e non c’era verso che si volesse levare, ma il buon Mercurio lo levò di peso e lo portò sino alla barca. Io me ne ridevo.

Antistene. Ed io quando discesi non mi mescolai agli altri, ma lasciandoli piangere corsi alla barca, e mi allogai nel miglior sito. Nel tragitto essi lagrimavano e vomitavano: ed io mi compiaceva a mirarli.

Diogene. Voi trovaste per via questi compagni: con me discesero Blepsia l’usuraio del Pireo, Lampide d’Acarnania condottiero di soldati, e Damide quel ricco di Corinto. Damide era morto avvelenato dal figliuolo, Lampide per amore della cortigiana Mirtia s’era ucciso da sè stesso, e Blepsia dicevasi esser morto miseramente stecchito di fame, e ben pareva, chè era pallido e magrissimo. Io, com’è uso, dimandava a ciascuno in che modo era morto; ed a Damide che ne dava la colpa al figliuolo, io dissi: Ti sta bene: avevi mille talenti e tutti i piaceri per te che eri di novant’anni, e ad un giovane di diciotto non davi quattr’oboli a portarli in tasca. E tu, o Acarnano (anch’egli dolevasi, e mandava maledizioni a Mirtia), a che incolpi amore, e non te? tu che non temesti mai nemici, ma