Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/330

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322 dialoghi dei morti.

coraggioso combattevi innanzi agli altri, ti lasciasti prendere dalle finte lagrimette e dai sospiri d’una sgualdrinella. Ma Blepsia, prima ch’io dicessi, biasimava la sua pazzia a serbar tanta ricchezza per un erede che non gli apparteneva, e a credere scioccamente che dovesse vivere sempre. A me poi diedero molto diletto quei loro lamenti. Ma già siam presso all’entrata: or bisogna riguardare ed osservare quelli che vengono. Caspita, o quanti, e diversi! tutti piangono, salvo questi fanciulletti che non parlano. Ma anche i vecchi si lamentano. Oh, che è cotesto? che incantesimo ha per essi la vita? Voglio dimandar questo vecchione. Perchè piangi tu che sei morto di tant’anni? Che ti dispiace di aver lasciato, essendo sì vecchio? Forse eri re?

Un povero. No.

Diogene. Eri satrapo?

Povero. Neppure.

Diogene. Certo eri un ricco, e ti duole d’esser morto lasciando agi e morbidezze?

Povero. Niente di questo. Avevo circa novant’anni, sostentavo una misera vita con l’amo e la canna, ero poverissimo, senza figliuoli, e zoppo, e poco ci vedeva.

Diogene. E con tutto questo volevi vivere ancora?

Povero. Sì: bella era la luce: la morte è terribile ed abborrita.

Diogene. O vecchio, tu sei impazzato e rinfantocciato presso alla morte, eppure hai gli anni di Caronte. E che si dovrà dire dei giovani, quando aman tanto la vita costoro che pur dovrebbero cercar la morte come unico rimedio ai mali della vecchiaia? Ma andiamocene, affinchè alcuno non sospetti che vogliamo fuggire, vedendoci così vicino all’entrata.